Mozart, genio della bellezza musicale

di CINZIA DICHIARA-

Il 27 gennaio 1756, nel centro dell’Altstadt di Salisburgo, precisamente al civico 9 di Getreidegasse, strada variopinta per le sue botteghe antiche dalle insegne medievali in ferro battuto che si avvicendano lungo una prospettiva assolutamente vivace, in una palazzina asserrata alle altre case contigue oggi tinteggiata di un giallo luminoso e meta di visitatori da tutto il mondo, nacque Wolfgang Amadeus Mozart, genio di tutti i tempi. Che egli sia da considerarsi una sorta di miracolo passato da questa terra è ormai dato inconfutabile nella storia e nella cultura universali; dato altrettanto indiscutibile è che il suo genio abbia prodotto e continui a replicare a ogni ascolto momenti di grazia assoluta, attraverso pagine di musica che alludono a una perfezione evidentemente da lui realizzabile, che continua a lasciarci sgomenti.

Quello di Mozart è un nome che ha attraversato la cultura di ogni epoca successiva, nobilitando l’umanità col distribuire infinito splendore artistico. Pare tuttavia che in tempi recenti, all’indomani dello scoppio del conflitto russo-ucraino, un tal nome benedetto da Dio per il suo straripante ingegno, sia stato scelto a designare una brigata militare di volontari occidentali, fondata da un colonnello dei marines con esperienze in Iraq trasferitosi a Kiev, in risposta ai miliziani russi della brigata cosiddetta Wagner.

Ecco, senza entrare in particolari guerreschi ma restando nell’iperuranio di Mozart, benché egli vivesse in tempi che preparavano la più grande rivoluzione della storia, va considerato che è difficile immaginarlo parteggiare per schieramenti e opposte fazioni militari. La sua arma indefettibile è sempre stata la bellezza e laddove egli volesse colpire di fioretto adottava l’ironia, forma suprema di forza intellettuale che gli è tanto congeniale ed esplode sulle scene dell’opera buffa. Basti pensare al sarcasmo di alcuni personaggi del suo teatro musicale, primo tra tutti Figaro, ai quali è stato capace di cucire addosso un habitus di invincibile superiorità grazie allo spirito e all’umorismo.

La famiglia Mozart: Wolfie e Nannerl al clavicembalo, il padre Leopold col violino in mano e la madre effigiata nel medaglione, Johann Nepomuk Della Croce (1736-1819), Salisburgo (1780-81)

Il suo orizzonte abbraccia infatti elementi di un linguaggio musicale finissimo che per lui costituiva un bagaglio non soltanto artigianale bensì uno strumento d’espressione di una poetica dall’idealità profonda, raramente dichiarata a livello letterario, non escluse le sue esternazioni in fatto di gusto, di stile e di abilità di perizia teorica musicale rintracciabili nell’epistolario, ma di certo dimostrata attraverso la levità di un mondo sonoro pressoché irraggiungibile nell’estrema, elegante soavità dei suoi capolavori. In tutta la sua produzione viene toccata una dimensione altamente spirituale: dalle emozionanti sinfonie, basti pensare all’arcinota K 550, ai leggiadri concerti per pianoforte e orchestra, come ad esempio il K 488; dalle commoventi messe, pensiamo alla  Krönungsmesse K 317, o alla Grosse Messe K 427, e come non citare il Requiem K626, nelle quali alcune parti raggiungono livelli altissimi di intimità devozionale, alle vitalissime opere liriche. Da quelle tragiche come Idomeneo o alla trilogia italiana di Nozze di Figaro, Don Giovanni e Così fan tutte, al Singspiel tedesco, dal Ratto dal Serraglio al Flauto magico, una luce di serena armonia viene proiettata sulle cose del mondo che il compositore osserva talora con leggerezza dello sguardo, delicatezza melodica e vigoria ritmica ponendo in risalto ogni sfumatura e ogni umano sentire.

In sintesi, dunque, per quanto abbia saputo far risuonare la partitura musicale di sopraffini echi emozionali, Mozart amava la lievità dello spirito, la satira, l’allusione mordace, così come prediligeva lo spessore del intelletto, la ricchezza della riflessione e lo slancio dell’immaginazione. Ma non la guerra. In una lettera al padre del 7 febbraio 1778 scriveva molto pragmaticamente da Mannheim: «La nostra ricchezza muore con noi, perché l’abbiamo tutta nella nostra testa e nessuno può togliercela, tranne che non ci taglino la testa e allora non abbiamo più bisogno di nulla.»

Tra le battaglie della vita di sicuro ve n’è una che ha combattuto strenuamente ed è quella contro il ristretto panorama della provincia salisburghese e contro le angherie del suo ‘padrone’ al quale prestava il servizio in qualità di musicista, allora equiparato a un servitore, una sudditanza che in breve tempo lo spingeva a trasferirsi, cercando lontano dalle ire dell’Arcivescovo Colloredo una realizzazione consona al suo legittimo bisogno di libertà. Ora, una tale istanza di libertà è cosa ben diversa dal libertinaggio che, un po’ a torto e un po’ a ragione, gli viene attribuito. Basti osservare che nel suo codice etico anche un eroe della conquista amorosa, un eroe come Don Giovanni, è figura negativa tanto da finire nelle fiamme dell’inferno in ossequio al destino del personaggio teatrale creato da Tirso de Molina, poiché chi si insubordini a un certo assetto morale deve risponderne e dunque è conseguenza naturale che l’esponente per antonomasia della passione incontrollata faccia la fine prescritta dal suo destino di ingannatore. Mozart libertino e gaudente, dunque, si muove entro un preciso tracciato di ordine morale. Le sue creature nel teatro lirico gioscono, soffrono, lottano, amano, ingannano, tradiscono, muiono, dunque vivono, ma in esse predomina prima o poi, l’anelito a un’armonia universale col mondo, con la terra, con gli uomini. Una disposizione superiore riconduce tutto a un equilibrio stilistico al quale corrisponde un paritetico equilibrio sociale e umano infisso sulle robuste architravi della cultura cattolica. Questa è infarcita di qualche inflessione dell’indottrinamento massonico, ma soprattutto scaturisce da una visione dell’esistenza dettata dalla sua arte sublime. In definitiva, niente a che vedere con la guerra, diciamolo pure in questa giornata della Memoria. E che la memoria delle tragedie della storia induca a maggiore consapevolezza e prudenza nelle decisioni politiche.

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