Nursing Up non approva la politica coercitiva legata al vaccino del meningococco

ROMA- Riceviamo da Nursing Up e pubblichiamo: “Nursing Up non approva la politica coercitiva legata al vaccino del meningococco, di cui all’ordinanza del Presidente n. Z00030 del 17.04.2020.
Lo scrivente Nursing Up contesta talune – asserite – misure di prevenzione e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, vale a dire talune disposizioni in merito alla campagna di vaccinazione antinfluenzale e al programma di vaccinazione anti-pneumococcica per
la stagione 2020-2021.
L’ordinanza della Regione Lazio rende obbligatoria la vaccinazione antinfluenzale e anti pneumococcica per “Medici e personale sanitario, sociosanitario di assistenza, operatori di servizio di strutture di assistenza, anche se volontario”.
L’obbligo opererebbe a decorrere dal 15 settembre 2020, in concomitanza con l’inizio della campagna di vaccinazione regionale.
La mancata vaccinazione per il personale sanitario comporterà l’inidoneità temporanea allo svolgimento della mansione lavorativa ai sensi del D. Lgs. n. 81/2008.
La (presunta) grande operazione di tutela della salute pubblica coinvolge il personale sanitario, che, peraltro, come si evince dalla mancata erogazione degli incentivi COVID-19, secondo la stessa Regione Lazio non sarebbe stato esposto al virus, tanto è vero che in molti sanitari non sono stati “privilegiati” nel ricevere dispositivi di protezione adeguati.

La suindicata ordinanza sembrerebbe volta ad ovviare alle inadeguatezze irrisolte delle strutture
sanitarie del Lazio. Ebbene, da professionisti sanitari “pensanti”, che la Regione Lazio continua a non considerare, sappiamo che tale vaccino ha efficacia moderata nei confronti dell’influenza e non è efficace verso le ben più numerose sindromi influenzali da virus diversi da quelli dell’influenza.
Alcuni studi indicano che il vaccino potrebbe addirittura aumentare altre infezioni respiratorie
(interferenza virale), comprese alcune da coronavirus (anche se mancano prove rispetto al SARSCoV-2); non è, comunque, stato chiarito se sia risultato associato a prognosi migliore negli affetti da COVID-19.
L’effettuazione del vaccino non consente di distinguere sindromi influenzali da forme iniziali di
COVID-19, che richiedono comunque test diagnostici specifici. Pertanto, la diagnosi differenziale
non esime i professionisti sanitari dall’accertare la presenza del COVID-19.
La Regione Lazio confida in una diagnosi differenziale, che in ambito sanitario sta intendere il procedimento diretto ad escludere fra varie manifestazioni simili, in un dato soggetto, quelle che
non comprendono l’insieme di sintomi e segni che si sono riscontrati durante gli esami, fino a comprendere quale sia quella corretta, ma la vaccinazione anti-pneumococcica non ci esime dal fare il tampone per la ricerca del COVID-19 né impedisce di contrarre l’uno e l’altro.
La diagnosi differenziale discrimina, fra le malattie che hanno un complesso sintomatico parzialmente comune, i segni specialmente propri della malattia da identificare. Nella diagnosi per
esclusione, è noto che si passano in rassegna tutti i tipi patologici che potrebbero essere evocati in
una condizione morbosa complessa, ma non accessibile a mezzi d’indagine più diretti. Tuttavia, molte volte la diagnosi non è possibile o si può compiere soltanto in via di approssimazione.
Ne deriva che il tampone rimane l’unica chance accettabile e non sempre affidabile al cento per cento.

Molte sindromi influenzali, respiratorie e/o gastrointestinali, accompagnate spesso da malessere generale, febbre e sintomi neurologici come cefalea, lacrimazione oculare e fotofobia, insorgenti
dal fenomeno epidemico, sono trasmesse da agenti infettivi diversi dal virus influenzale, con il
concorso di un’aumentata suscettibilità del paziente, spesso per la stagione fredda e umida. Analisi accurate dell’infettività stagionale hanno anche dimostrato la possibile sovrapposizione di diversi virus e batteri nel determinare la patologia (van Beek et al. 2017): diversi virus influenzali,
coronavirus, rinovirus, metapneumovirus, virus respiratorio sinciziale, virus parainfluenzali e Haemophilus influenzae. Conseguentemente, la vaccinazione anti-pneumococcica oppure la non
effettuazione della stessa, purtroppo, non consente di escludere né lo pneumococco né il COVID19 !
Come professionisti sanitari preferiamo l’investimento delle risorse, piuttosto che nell’acquisto di
massicce dosi di vaccino, in dispositivi di protezione individuali, in percorsi differenziati, oppure ancora in ascensori differenziati per pazienti positivi o sospetti e “pazienti non infetti”, assenti in molti ospedali nel Lazio. Siffatta vaccinazione di massa del personale sanitario, a fronte di un bilancio netto molto incerto tra benefici e danni, comporterebbe pesanti oneri organizzativi, finanziari e disagi, rispetto a possibili usi molto più proficui delle medesime risorse.
Le migliori prove scientifiche suggeriscono di rinunciare all’obbligo vaccinale e una moratoria sull’estensione della vaccinazione, fino a quando nuove ricerche valide, pragmatiche, indipendenti
da interessi commerciali, diano comprovati riscontri ai tanti interrogativi sollevati.
Per tutti i suesposti motivi, si chiede l’annullamento della ordinanza del Presidente n. Z00030
del 17.04.2020. In attesa di cortese, sollecito riscontro, anche ai sensi e per gli effetti tutti della Legge n. 241/1990, si porgono distinti saluti”.

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