Piazza della Rocca

di ROSANNA DE MARCHI –

VITERBO – E’ la piazza delimitata dalla Rocca eretta nel 1354 per volere del Card. Egidio Albornoz per garantire allo Stato della Chiesa il dominio della città.
Venne rinforzata con grossi muri per ordine di Bonifacio IX nel 1395, ingrandite e migliorate le stanze interne, ad opera di molti viterbesi bramosi di lucrare indulgenze.
Nel 1523 venne concessa dal Pontefice Clemente VII ai Cavalieri Gerosolimitani esuli dall’isola di Rodi ai quali fu permesso anche di officiare nella vicina chiesa di S. Faustino e Giovita. Paolo III Farnese, cittadino viterbese, intorno all’anno 1537 provvide al restauro del fabbricato inserendovi la propria arma e la scritta nel fascione sotto le colonne della loggia.
Nel 1682, dalla Camera Apostolica venne data in enfiteusi al nobile locale Sebastiano Zazzera ereditandola successivamente il figlio Giuseppe.
L’ultimo castellano è stato il marchese Lotario Ottieri che, nell’agosto del 1741, consegnerà la Rocca all’Ospizio degli Esposti a seguito dell’acquisto fatto dal Card. Caracciolo nel 1738.
La Piazza è adornata anche da una imponente fontana ma sulla paternità del disegno della stessa i maggiori storici viterbesi ( Pinzi- Scriattoli- Signorelli- Gargana- Egidi) sono in disaccordo perché è dubbio se attribuirla al Vignola oppure a Giacomo Barozzi o a Tommaso Ghinucci.
Di notevole pregio è anche il Palazzo Grandori immortalato nel 1953 dal regista Fellini nelle scene del carnevale inserite nel film “I Vitelloni”.
Certo, allora la piazza era diversa, non c’erano giardinetti e neppure i muretti che dividono la strada dal parcheggio.
Questa piazza è stata, poi, una delle più importanti della città. Era un posto dove la gente si riuniva in diverse occasioni: qui si assisteva alla “tombola” e, sempre qui, che fu proiettato il primo film a Viterbo.
Lo spettacolo avvenne all’aperto e il telo dove venivano proiettate le immagini era trasparente, affinché il film si potesse vedere sia da una parte sia dall’altra. Sempre su questa piazza, alla fine dell’800, quando c’era ancora la pena di morte, il boia uccideva i condannati a morte. Tra questi ce n’era uno molto particolare, tanto che i Viterbesi ancora, lo ricordano. Si chiamava Cicoria ed era un gran delinquente, ma riusciva a fare lo spiritoso anche di fronte alla morte. Si racconta che, mentre era portato in Piazza della Rocca per essere giustiziato, vide la gente correre per occupare il posto e
per meglio vedere lo “spettacolo”, diciamo così, allora rivolgendosi alla piazza disse:
“Nun currete, tanto se non arrivo io, lo spettacolo non comincia!”
Quando poi, arrivò davanti al boia, esclamò. “ Aho e ‘na cosa così nun m’era capitata mae”. Intanto si annuvolava e lui diventava nervoso. Alla fine disse al boia:
“Sbrigate a tajiamme ‘sta capoccia, sennò pijamo pure l’acqua!”
Bel tipo, no?

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