Provocazione o Geniale Bluff? Il Caso della Banana di Cattelan

di ANGELO RUSSO –

VITERBO – L’arte è solo tecnica e bellezza? Una prospettiva psicologica

Un ricordo, una premessa: era il 1991 e mi trovavo presso la ditta Scenotecnica, nei dintorni di Roma, per realizzare in scala, dal bozzetto alla realtà, le forme di Sinfonia d’Archi, la Macchina di Santa Rosa che avrebbe sfilato per le strade di Viterbo. All’epoca non esisteva la stampa 3D, e dei tecnici esperti scolpivano con fili caldi blocchi di polistirolo ad alta densità, riproducendo fedelmente il bozzetto vincitore dell’appalto.

Era un laboratorio enorme. In quel periodo, il regista Franco Zeffirelli vi stava realizzando le scenografie per un suo prossimo lavoro. Rimasi impressionato dalla perfezione con cui quei maestri scolpivano statue nei minimi dettagli, dalle vene nei corpi ai drappeggi delle vesti. Ammirato, dissi loro: “Siete dei veri artisti!”. Uno di loro, sorridendo, rispose: “Noi siamo bravissimi a copiare. Se ci porti più immagini della Pietà di Michelangelo da varie angolazioni, possiamo riprodurla perfettamente, facendola sembrare marmo di Carrara. Ma non siamo artisti, siamo artigiani. Se mi mettessi davanti a un foglio bianco e mi chiedessi di creare qualcosa, non saprei da dove iniziare”.

La sua umiltà e consapevolezza ridefinirono il concetto stesso di arte. Ogni epoca ha avuto la propria idea di cosa sia arte, ma ridurla a mera abilità tecnica significa ignorarne la vera essenza: la capacità di comunicare, di provocare riflessione, di trasformare il nostro modo di vedere il mondo.

L’arte come simbolo e trasformazione

Dal punto di vista psicologico, il rifiuto di nuove forme d’arte può essere visto come una resistenza al cambiamento, un tentativo di aggrapparsi a schemi rassicuranti. Secondo Jung, il percorso di individuazione dell’essere umano passa attraverso l’integrazione degli opposti: l’arte, analogamente, non può rimanere ancorata alla sola tecnica, ma deve aprirsi all’idea, al simbolo, alla trasformazione.

Jung distingue tra segno e simbolo: il primo ha un significato chiaro e definito, mentre il secondo è aperto, evocativo, capace di parlare all’inconscio. L’arte puramente tecnica è più simile a un segno, perché rappresenta la realtà in modo fedele e armonioso. L’arte concettuale, invece, lavora sul simbolo, lasciando spazio all’interpretazione e al dialogo con le parti più profonde della psiche.

Chi rifiuta l’arte concettuale spesso cerca sicurezza estetica, ovvero una bellezza oggettiva e rassicurante. Ma l’arte, come l’inconscio, non è sempre rassicurante: a volte provoca, scuote, mette in crisi. L’orinatoio di Duchamp non è bello nel senso tradizionale, ma ha cambiato la concezione stessa dell’arte, proprio come un sogno disturbante può aiutarci a comprendere aspetti nascosti di noi stessi.

Il rifiuto del nuovo: un bias cognitivo

Il passaggio dall’arte figurativa all’arte concettuale ha generato forti resistenze, come ogni cambiamento culturale. Il rifiuto di certe forme d’arte è spesso il risultato di un bias cognitivo, ovvero la difficoltà di accettare un’idea che mette in crisi le nostre convinzioni. Se pensiamo all’orinatoio di Duchamp o alle lattine di Warhol, inizialmente furono derisi, ma col tempo hanno segnato una svolta nella storia dell’arte.

I tanti critici dell’arte contemporanea spesso sostengono che la “vera” arte debba essere tecnicamente complessa, bella secondo canoni tradizionali e priva di speculazioni concettuali. Denunciano la mercificazione del settore e rimpiangono i valori estetici del passato. Tuttavia, questa visione è limitata: l’arte non è solo abilità tecnica, ma anche espressione di idee e trasformazione culturale. Confondere arte con artigianato significa ignorarne l’evoluzione. Inoltre, il valore di un’opera va contestualizzato nel suo tempo, evitando giudizi superficiali.

L’arte contemporanea, con la sua complessità e provocazione, ci invita a mettere in discussione i nostri preconcetti e ad abbracciare nuovi significati. Piuttosto che respingerla, dovremmo cercare di comprenderne il messaggio.

Il Caso Comedian: un fenomeno globale

Nel 2019, Maurizio Cattelan presentò Comedian, una banana attaccata al muro con del nastro adesivo, venduta per 120.000 dollari e successivamente battuta all’asta per 6,2 milioni di dollari. L’opera scatenò un acceso dibattito: geniale intuizione o presa in giro?

Se consideriamo l’arte solo come abilità manuale, questa opera appare insensata. Ma se la vediamo come concetto e comunicazione, il discorso cambia. La banana di Cattelan è diventata arte non per il suo valore materiale, ma perché ha innescato un dialogo globale sul senso stesso dell’arte, sul mercato e sul ruolo dell’artista.

Duchamp ci ha insegnato che un oggetto comune può diventare arte se inserito in un contesto che lo rilegge in modo nuovo. La banana, in questa chiave, diventa un simbolo aperto: può essere una critica all’assurdità del mercato dell’arte, una riflessione sul valore che attribuiamo agli oggetti o un atto ironico che mette alla prova il sistema dell’arte contemporanea.

Libertà di giudizio, ma non di negare l’evoluzione

Ognuno può avere la propria opinione su Comedian e sull’arte concettuale. Alcuni la trovano affascinante, altri ridicola. Ma ciò che non si può negare è che l’arte, come la psiche umana, è in costante evoluzione.

L’arte non è più solo tecnica e rappresentazione del bello: oggi è anche provocazione, simbolo, comunicazione, proprio come il linguaggio visivo dei sogni nell’inconscio. Il valore di un’opera non sta solo nella sua esecuzione, ma nell’effetto che ha sulla società e nella sua capacità di generare significati.

La banana di Cattelan è arte o bluff? Probabilmente entrambe le cose. E proprio per questo continua a far parlare di sé. Forse la vera opera non è stata la banana in sé, ma il fatto che il mondo intero ne abbia discusso.

 

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