di FRANCESCO MATTIOLI-
Siamo stati abituati a considerare gli Stati Uniti come il faro della democrazia e del progresso. In Europa si mandava al patibolo chi la pensava diversamente quando negli States si scriveva una Costituzione e si costruivano parlamenti; in Europa nazioni che condividevano pensieri, letterature e filosofie si combattevano ferocemente al seguito di gelosie e scontri tra vecchie e scricchiolanti monarchie, mentre negli States si creava uno Stato repubblicano federato basato sul cosiddetto primo emendamento: “Il Congresso non potrà emanare leggi per il riconoscimento di una religione o per proibirne il libero culto, o per limitare la libertà di parola o di stampa o il diritto dei cittadini di riunirsi in forma pacifica e d’inviare petizioni al governo per la riparazione dei torti subiti”.
Ancora nel XX secolo, l’Europa partoriva il nazifascismo e la dittatura comunista mentre negli Stati Uniti volava il New Deal di Roosevelt e gli americani liberavano i popoli europei dalle dittature.
Le istanze libertarie più avanzate del XX secolo, seppur sovente elaborate da filosofi e politici europei – si pensi a Fromm, Marcuse, Levy – si sono formate e realizzate in America. Non ci sarebbe stato il femminismo se non ci fosse stata la tragedia di New York nel 1908 e le conseguenti azioni delle suffragette; non ci sarebbe stato il Sessantotto se non ci fosse stata Berkeley nel 1964; non ci sarebbe stato il moderno giornalismo libero e autonomo dalla politica, se non ci fosse stato il Watergate nel 1972.
Certo, nella storia degli States non sono state tutti rose e fior. Il razzismo ha continuato a proliferare fino a Martin Luther King e sussiste ancora. La marginalizzazione delle popolazioni native americane sono ancora argomento di discussione. Il maccartismo degli anni ’50 ha fatto ben pochi sconti alla democrazia. Ma allo stesso tempo italiani, irlandesi, polacchi, tedeschi, russi ma anche giapponesi, cinesi, coreani, cubani e messicani, pur tra mille pregiudizi – si pensi ai nostri Sacco e Vanzetti – hanno trovato ampio e autorevole inserimento nel contesto prettamente inglese e protestante americano.
Insomma, sarà la storia veicolata dai media – cinema e letteratura in primis – o quella della Liberazione e del Piano Marshall, ma pressoché tutti gli europei hanno sempre creduto che nell’elaborare, conservare e valorizzare i tipici “valori occidentali” (Democrazia, Libertà, Rispetto per l’Essere Umano, Progresso sociale, Senso di responsabilità universale) gli Stati Uniti giocassero un ruolo di primo piano, assieme all’Europa e ai paesi sostantivamente “occidentalizzati” (Giappone, Australia, Nuova Zelanda, qualche paese sudamericano). In specie a fronte del crescente imperialismo cinese e del consolidarsi dei cosiddetti “Paesi BRIC” (Brasile, Russia, India, Cina, a cui si sono aggiunti Sud Africa ed Emirati) che hanno imboccato strade politicamente e ed economicamente diverse.
Oggi tuttavia c’è qualcosa che non torna.
Non torna che Donald Trump imponga dazi pesanti all’Europa, che il vicepresidente Vance dichiari di odiare l’Europa. Non torna che Trump voglia “impadronirsi” della Groenlandia con le buone o con le cattive, entrando in un singolare coro unisono con l’oligarca Putin che sullo stesso registro di esprimeva pochi giorni prima di invadere il “suo” Donbass.
Ma c’è un altro aspetto che sorprende.
Sorprende che quel Trump che, rivoluzionando ogni principio e ogni prassi della stori americana, si era permesso di “assaltare” la sede del Congresso facendo violenza alle più basilari regole democratiche – il rispetto degli esiti di libere elezioni – sia stato di nuovo candidato alla Presidenza degli Stati Uniti e che la maggioranza degli americani lo abbia votato.
A fare due più due sembra che gli Stati Uniti si stiano incamminando a diventare una di quelle società oligarchiche, totalitarie, autoreferenziali, consumistiche, distopiche guidate da affaristi prepotenti e senza scrupoli descritte in romanzi e film come Fahrenheit 451, Blade Runner, Hunger Games, Divergent. Sembra che gli Stati Uniti siano pronti a far patti con i regimi di Russia e Cina, ad incoraggiare i governi di estrema destra sudamericani, ad avvalersi dei servigi più insolenti e manipolatori dei padroni dell’Intelligenza Artificiale, a vanificare gli allarmi sul degrado ambientale, ad ignorare che abbandonare a sé stessi milioni di persone affamate significa innescare una bomba ad orologeria planetaria.
Se tutto ciò potrebbe apparire comunque plausibile nella mente di un tycoon della finanza come Trump, di un visionario oscuro come Musk e dei loro sodali e yesmen, appare sconcertante che milioni di americani si siano incamminati nella stessa direzione, in un viaggio che a loro personalmente non fornirà alcun beneficio, anzi forse porterà qualche imprevisto danno collaterale, ben più grave che rinunciare ad una mozzarella, ad un cognac o ad un prosecco. Alcuni miei amici americani stanno già enumerando le disgrazie prossime venture che causerà questa politica trumpiana; ho ricordato loro che non ci sono soltanto le menti illuminate e un po’ saccenti dei liberals newyorchesi e californiani, ma anche, e forse soprattutto, gli sceriffi pistoleri del Midwest e dl Deep South
Eppure, forse il motivo di tutto ciò è ancora un altro.
Un vecchio contadino di mia conoscenza, Sestilio, diceva che l’acqua si spande dove il terreno è incolto, non governato.
Ebbene, oggi l’applicazione dei valori occidentali, in un’ottica superficialmente progressista e politicamente corretta, ha creato un ampio spazio libero nel quale si sono sversati e dilatati il suprematismo, il conservatorismo, il totalitarismo, il personalismo, la capacità di manipolare bisogni e abitudini altrui.
Chi sa rispondere alla semplice domanda: perché le forze progressiste arretrano ovunque, non solo in medio Oriente, non solo in Russia, non solo in Asia, in Africa e in Sudamerica, ma anche negli Stati Uniti e in Europa? Ma non era, questo, il secolo della democrazia, della libertà, del superamento del razzismo, del raggiungimento della parità di genere, della difesa ambientale, dell’accoglienza, di un progresso sostenibile, di una tecnologia al servizio dell’Essere Umano?
No, signori. Si è liberato il campo, come diceva Sestilio, ma non si sono costruiti gli argini per indirizzare le acque.
SI è rinunciato alle regole; che in una convivenza ampia e complessa come è quella di quasi otto miliardi di esseri umani sono necessarie. Purché siano valide per tutti e negli interessi di tutti. Senza remore, scorciatoie o demagogiche predicazioni. Senza Torquemada pronti a dividere a priori buoni e cattivi; senza avventuristi, contestatori e sfregiatori in servizio permanente.
Se il progressismo ha esaltato l’accoglienza, ma non ha saputo creare l’inclusione.
Se ha votato lo sviluppo sostenibile, ma non ne ha governato i tempi, gli spazi, e i modi.
Se ha lasciato che la libertà si trasformasse in licenza.
Se non ha trovato neppure una comunanza organica di idee, di bisogni, di soluzioni.
Se si è compiaciuto di esprimersi e di predicare nei salotti buoni piuttosto che nella più vasta, contraddittoria o banale realtà quotidiana.
Se non ha dato risposte banali ai banali problemi quotidiani dell’individuo comune.
Se si è intestato in esclusiva le ragioni dell’Umanità.
Allora, non ha dato indirizzi e argini all’acqua, e l’acqua si è sparsa dove veniva più facilmente accolta. Anche se sarà destinata, prima o poi, a scomparire nel buco del più oscuro e massivo conformismo di una chiavica.
I partiti progressisti, molti dei quali si ispirano al pensiero socialista, dovrebbero spiegare perché la gran parte della classe operaia oggi vota i partiti di destra. Forse perché all’operaio e l’operaia che tornano dal lavoro interessa che i figli che escono il sabato sera incontrino meno spacciatori, meno rapinatori, meno violentatori, e quindi si si affidino a chi promette loro ordine e sicurezza, piuttosto che libertà e accoglienza indiscriminata per tutti. Specie se accoglienza significa tollerare che circolino clandestini costretti a delinquere per sopravvivere. Perché sia chiaro: se metti un essere umano all’angolo, in qualche modo per sopravvivere costui dovrà adattarsi e aggrapparsi, anche al peggio (cfr. D. Matza, Come si diventa devianti, 1962).
E allora, non basta accogliere, in nome di un ideale, laico o religioso che sia; devianti disperati.
Ma l’alternativa, molto più semplice e leggibile per l’elettore medio, è quella di liberare il territorio dal problema, che si faccia ai confini del Messico, nel Mediterraneo o a Gaza.
Se la gente si accontenterà di assaggiare il panino preconfezionato fornitole dal regime, di esibirsi su istagram e tik tok senza tanto pensare, il futuro è segnato. Nessuno speri che alla fine vincano il progressismo, la giustizia, la democrazia, se nessuno sa maneggiarli e se a nessuno interessano.
Nel 2050 potremmo avere dimenticato allegramente il senso di queste parole. E forse persino il termine Europa sarebbe un mero ricordo geografico, forse demodé.
Francesco Mattioli