Raffaello contro Sebastiano (parte seconda)

di MARCO ZAPPA –

VITERBO – Fatte le premesse necessarie (vedi prima parte già pubblicata) si arriva finalmente alla disputa fra i due artisti, quella creata certamente in buona fede dal cardinale Giulio de Medici.
La scelta di Raffaello appare logica vista la fama che precedeva il pittore urbinate mentre più curiosa sembra la scelta di affidare a un emergente se pur in possesso di grandi mezzi l’altra opera così impegnativa.
A mio avviso dovette avere il suo peso la figura di Michelangelo come garante e come compartecipante all’opera in qualità di disegnatore se non altro per la realizzazione delle figure principali dove lo studio del corpo umano risultava determinante.
La figura di Lazzaro ad esempio, uno dei massimi protagonisti della scena, rivela tutta la possenza dell’anatomia michelangiolesca e a riprova di quanto affermo c’è la testimonianza di un paio di disegni pervenutici di mano del Buonarroti che lo ritrae praticamente nella stessa posizione e forma di quello dipinto poi da Sebastiano nella stesura finale.
Michelangelo conosceva bene Giulio de Medici e questi si fidava di lui e delle sue immense doti ed è singolare che secondo un mio studio, del quale ho già trattato in diversi articoli e conferenze, il ritratto del Cristo morto nella pietà di Viterbo somigli incredibilmente a quello del cardinale, quasi fosse un omaggio alla sua persona per ottenere grazie future, cosa che puntualmente si verificherà con la commissione appunto della Resurrezione di Lazzaro e il successivo incarico di “piombatore” delle bolle pontificie quando il De Medici, diventerà Papa con il nome di Clemente VII.
Affidati gli incarichi, aveva inizio una disputa che doveva affascinare gli intellettuali del tempo tenendoli col fiato sospeso vista la posta in palio: era la prima volta infatti che Raffello e il suo “nemico” Michelangelo, se pur dietro la copertura di Sebastiano, venivano a confrontarsi in modo così diretto.
Fra i due pittori chi aveva chi aveva più da perdere nel confronto era l’urbinate, campione incontrastato sulla scena romana davanti ad un artista più giovane e ancora non perfettamente maturo, un outsider come diremmo oggi.
Nel Gennaio del 1517 Sebastiano compra il legname per preparare la tavola ma in una lettera a Michelangelo si lamenta per il fatto che Raffaello “metta sottosopra el mondo perché lui non la faca per non venire a paraghonj.”
Sebastiano dunque teme che la sfida non abbia inizio ma in ogni caso con la voglia di emergere tipica di chi ha fame di arrivare al successo si butta nell’impresa con il massimo impegno e in breve porta talmente avanti la sua Resurrezione di Lazzaro tanto da stupire i pochi amici ammessi a vederla.
Eppure l’anno dopo Raffello non ha ancora cominciato la sua, certamente subissato dalle tante richieste ma evidentemente poco attratto dalla possibile competizione: questo atteggiamento costringe Sebastiano a rallentare i lavori, come risulta chiaro da un’altra lettera a Michelangelo nella quale gli espone che non vuole per primo scoprire la sua opera.
Qualche mese dopo sempre Michelangelo viene a sapere da un amico che Raffaello sta brigando per fare incorniciare la tavola di Sebastiano direttamente a Narbonne, in modo da evitare uno scomodo paragone, del resto una volta che la Resurrezione sarà partita da Roma chi potrà più ricordarla e metterla vicino alla sua Trasfigurazione?
Il piano è perfetto e dimostra la paura del più forte di fronte a un qualsiasi confronto, una paura lecita perchè sapere che Michelangelo contribuisce all’opera del rivale con il suo terribile disegno metterebbe in angoscia qualsiasi artista.
Raffaello sa che stavolta deve vedersela con un pittore vero, di alto livello, che padroneggia la pittura a olio con grande sapienza, forte oltretutto di un nuovo cromatismo, perché dunque non temerlo?
E per il Capodanno del 1519, dopo due anni la Resurrezione di Lazzaro è praticamente terminata a parte dei ritocchi che Sebastiano farà nei mesi successivi e poi la verniciatura finale che provvederà a stendere a fine anno.
Finalmente nel 1520 anche Raffaello ha terminato la sua tavola ed entrambe saranno esposte nell’Aprile all’interno della cappella apostolica ma per ironia della sorte alcuni giorni prima il pittore urbinate muore.
Si è molto scritto e sostenuto riguardo allo stato di finitura della Trasfigurazione ed eventuali parti dipinte dai suoi allievi ma sembra chiaro invece che l’opera fosse terminata a quella data.
E’ l’ultima testimonianza sulla disputa a dimostrarcelo e appartiene a Sebastiano che scrivendo a Michelangelo gli confida: ”…ho portato la mia tavola un’altra volta a palazo con quella che ha facto Raffaello et non ho avuto vergogna.”

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