Ricordati a Viterbo i Caduti militari e civili nelle missioni internazionali per la pace

VITERBO – La legge 12 novembre 2009 n. 162 ha istituito la Giornata del ricordo dei Caduti militari e civili nelle missioni internazionali per la pace, anniversario, peraltro, della tragica strage di Nassiriya, avvenuta il 12 novembre 2003. Come noto, durante la missione di pace in Iraq, approvata con la risoluzione onu n.1483 del 22 maggio 2003, persero la vita nell’attentato di Nassiriya 28 persone, di cui, tra gli italiani, 12 carabinieri, 5 militari dell’esercito e 2 civili. E’ la giornata dedicata ai nostri concittadini periti nell’attentato del 12 novembre 2003, e a tutti gli italiani caduti nel corso dell’operazione “antica babilonia” e nelle altre missioni internazionali per la pace.
Ciò che avvenne in quella tragica mattina è ancora ben vivo nella memoria di tutti noi: alcuni attentatori suicidi, dopo aver assaltato le postazioni di guardia, guidarono un’autocisterna carica di esplosivo nei pressi della base “maestrale”, occupata dai nostri carabinieri dell’unità specializzata multinazionale. A questo reggimento dell’arma dei carabinieri, distintosi per la sua altissima professionalità in numerose missioni internazionali, era affidato il difficile compito di mantenere l’ordine pubblico, garantire l’assistenza alle autorità deputate alla ricostruzione e l’addestramento della polizia locale irachena nella città di nassiriya ed in tutta la provincia di Dhi kar, nel sud del paese.
L’esplosione dell’automezzo degli attentatori investì l’edificio, provocandone il parziale crollo ed uccidendo diciannove cittadini italiani, dei quali dodici carabinieri (il Sottotenente Giovanni Cavallaro, il Sottotenente Enzo Fregosi, il Sottotenente Filippo Merlino, il Sottotenente Alfonso Trincone, il Maresciallo Aiutante Alfio Ragazzi, il Maresciallo Aiutante Massimiliano Bruno, il Maresciallo Capo Daniele Ghione, il Brigadiere Giuseppe Coletta, il Brigadiere Ivan Ghitti, il Vice Brigadiere Domenico Intravaia, l’Appuntato Orazio Maiorana e l’Appuntato Andrea Filippa) e cinque Militari dell’Esercito (il Capitano Massimiliano Ficuciello, il Maresciallo Capo Silvio Olla, il Caporal Maggiore Capo scelto Emanuele Ferraro, il Primo Caporal Maggiore Alessando Carrisi e il Caporal Maggiore Pietro Petrucci), che si trovavano in quella base per ragioni di servizio. Tra i civili, persero la vita Stefano Rolla, regista impegnato in un sopralluogo per le riprese di un documentario sulla missione italiana, e Marco Beci, funzionario della cooperazione italiana in iraq. per effetto di quell’attacco furono inoltre uccisi – è doveroso ricordarlo – nove cittadini iracheni, tra passanti e collaboratori del nostro contingente militare.
Quando il parlamento italiano deliberò, su proposta del governo, di inviare in iraq un contingente militare, per dare il nostro contributo alla ricostruzione del tessuto civile ed economico di quel paese, nessuno si nascondeva quanto la missione fosse difficile e rischiosa. Carabinieri e forze armate, forti dell’esperienza e dei successi ottenuti in tante difficili operazioni di pace, risposero senza esitazioni alla chiamata. Si prepararono così ad impiegare in quella complessa realtà, martoriata da venticinque anni di dittatura e dai difficili rapporti tra le etnie e le confessioni religiose, quello stile e quella professionalità che già li aveva distinti nelle precedenti missioni, dall’albania alla bosnia, dal Kosovo a Timor est, dove avevano mietuto successi e riconoscimenti, rivelandosi in alcune attività – come le operazioni di polizia e controllo del territorio – un assoluto modello per le forze armate degli altri paesi.
La presenza dei nostri militari in terra irachena era improntata – come di consueto – alla più ampia apertura nei confronti della popolazione locale. essi non erano e non volevano mai apparire come una forza occupante, rinchiusa nel suo fortino ai margini dell’abitato, ma come una presenza discreta e dialogante, fianco a fianco con la gente del luogo. Il comandante del reggimento colpito, il colonnello georg di pauli, volle rivendicare anche dopo l’attentato questa scelta coraggiosa. di fronte alle macerie della sua base, dichiarò: «avremmo potuto tagliare la città in due. asserragliarci in un bunker. ma non saremmo stati una missione umanitaria. e per la pace, per il bene degli iracheni, abbiamo pagato un prezzo altissimo, terribile».
Richiamare alla mente quella grande espressione collettiva di affetto e di cordoglio ci aiuta a ricordare, in ogni nostro gesto, che la memoria di chi ha dato la vita per il nostro paese non appartiene all’arma, alle forze armate, né alle istituzioni, né ad una parte politica, ma è patrimonio indissolubile dell’intera collettività. quei diciannove caduti, dei quali diciassette erano uomini in armi, e soldati di grande valore, non saranno mai celebrati come eroi di guerra, per la semplice ragione che non combatterono alcuna guerra: qualunque altra lettura della loro presenza in iraq sarebbe un torto alla loro memoria.
Il presidente Ciampi, raggiunto dalla notizia della strage mentre era in procinto di iniziare una visita ufficiale negli stati uniti d’america, lo disse a chiare lettere, nell’incontrare il presidente americano: «L’Italia è andata in Iraq non per partecipare a una guerra, ma per contribuire alla ricostruzione del paese. questa è l’identità della Repubblica Italiana: costruire la pace».
Rivolgiamo il nostro commosso pensiero ad essi, ai loro orfani, alle loro vedove, a quanti sono rimasti feriti nel corpo e nello spirito e lo facciamo rivendicando quei valori di pace, giustizia, libertà, democrazia, incarnati, oggi come allora, nell’azione quotidiana dei nostri carabinieri, militari e concittadini impegnati nelle più difficili realtà del pianeta a costruire la pace.

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