Ricorrenze tra passato e presente

di CINZIA DICHIARA-

Il 5 gennaio è un giorno che riunisce sotto la sua egida una triade musicale d’eccezione. È infatti il giorno della nascita di tre gloriosi pianisti il cui astro intramontabile illumina potentemente il panorama  dell’interpretazione musicale. Si tratta di tre nomi altisonanti per il loro prestigio e molto cari al pubblico: Arturo Benedetti Michelangeli (1920-1995), il quale ci ha lasciato un’eredità preziosa e ineguagliabile quanto a perfezione dello stile, Maurizio Pollini (1942) vincitore assoluto del premio Chopin nel 1960 e tuttora attivo in ambito concertistico, a tutti giustamente noto come una sorta di monumento nazionale, e infine Alfred Brendel, (1931) un altro grande depositario e divulgatore dell’arte classica più paludata, ospite delle più importanti società della musica del mondo.

 

Partendo dal passato, di Michelangeli, pietra miliare del pianismo mondiale, va ricordato il fisiologico rigore speculativo, una lezione che tuttora non perde lo smalto originario. Entrato nella leggenda per la peculiarità del tocco dai suoni rarefatti, quale sacro vate egli sembra provenire da un mondo metafisico. La sua sensibilissima qualità timbrica asseconda una raffinata costruzione della partitura mentre il fine schematismo formale reca l’impronta di una coerenza intellettuale che lega il suo nome a molteplici aspetti del suonare: dalla prassi esecutiva, che con lui raggiunse una perfezione apollinea, alla carriera, durante la quale fu famoso anche per il singolare vezzo di farsi seguire ogni volta dal suo pianoforte personale, oltreché per la ritrosia a esibirsi in Italia in seguito a uno piacevole episodio che lo indusse a scegliere la Svizzera come paese in cui dimorare. Rimangono nella memoria, quali eventi stratosferici, alcuni suoi storici concerti. Ad esempio il concerto in Vaticano per Papa Giovanni XXIII, trasmesso in diretta dalla Sala delle Benedizioni: era il maggio del 1962 e l’artista bresciano eseguì il concerto di Schumann accompagnato dall’orchestra della Rai di Roma diretta da Gianandrea Gavazzeni, con la Totentanz di Liszt. Non a caso, il mitico caposcuola Alfred Cortot, membro di giuria al Concorso di Ginevra che un giovane Michelangeli vinse nel 1939, lo aveva definito “il nuovo Liszt”. Fu spesso liquidato come ‘algido’, ‘distaccato’, ‘misurato’, considerato lontano dal contatto col pubblico ma la gamma pressoché infinita delle sfumature di suono che fu capace di produrre continua a lasciare stupefatti e a trasmettere emozioni profonde, grazie a una bellezza senza tempo, distillato di enormi fatiche del genio, eppure pervasa di fine umanità.

Procedendo dal passato al presente, sulla medesima scia di Benedetti Michelangeli il Pollini degli esordi è stato anch’egli considerato un ‘cerebrale’. In effetti un filo rosso lo lega al pianista bresciano, essendo stato per un periodo suo allievo nella villa nei dintorni di Bolzano dove il maestro amava riunire i suoi discepoli. Ma pur grato, se ne distacca per il saldo spirito di autonomia che lo ha contraddistinto nell’affermarsi.

In effetti Pollini ha attraversato la storia del pianismo internazionale acclamato ovunque, lungo l’arco di decenni nei quali si è imposto per la chiarezza austera e l’esattezza energica di esecuzioni ineccepibili, grazie anche alla padronanza magistrale dello strumento e dei repertori. Ed è prova del suo continuo impegno artistico e razionale la ricerca svolta attraverso il tempo nello studio, ad esempio, delle sonate beethoveniane, portato avanti fino a tempi recenti dalla lontana prima incisione del 1975. È uscita proprio in dicembre l’incisione per Deutsche Grammophon delle opere 101 e 106, da considerarsi a pieno titolo una summa sapientiae dell’artista.

Sguardo riflessivo, atteggiamento serio, piglio volitivo, espressione profonda, per lui il mondo della musica non ha avuto confini. Chiamato a partecipare ai maggiori festival del mondo a partire da Salisburgo, accompagnato dalle più prestigiose orchestre come i Berliner e i Wiener Philarmoniker, solo per fare qualche nome, e diretto da magnifici assi della bacchetta, basti pensare a Karajan, Abbado, Schippers, Giulini, Metha, Boulez, Celibidache, il pianista ha fatto ovunque onore all’Italia, della quale è figlio tra i prediletti. La sua parola, cioè la sua interpretazione in campo pianistico, è incisa in un consistente elenco di registrazioni che documentano un’arte in continua elaborazione. Lo spessore del suo eloquio al pianoforte è per lui mezzo d’elezione per rendere in modo mirabile lo spirito dei massimi compositori. Interprete poliedrico, ha affrontato un repertorio vasto che dal barocco di Bach raggiunge autori contemporanei come Pierre Boulez, Luigi Nono, Luciano Berio, Kerlheinz Stockhausen, ma anche Iannis Xenakis,  György Ligeti, György Kurtàg, dei quali talora è stato significativo portabandiera. L’attenzione all’analisi del testo, il rispetto primario per l’autore al di là di qualsiasi tentazione di personalismo, ne fanno un artista davvero squisito e massimamente posto al servizio della musica. Il calore del suo suono è andato crescendo con la maturità mentre l’obiettivo del musicista non è più quello della predominio tecnico, già ampiamente dimostrato nel tempo, quanto la forza espressiva che egli è in grado di trarre da ogni contesto autoriale, così come un artefice dotto sa elaborare e filtrare attraverso il proprio patrimonio di conoscenza ogni aspetto del reale. Giustamente dunque, Pollini rappresenta per noi una sorta di monumento vivente dell’arte pianistica e pertanto plaudiamo al suo rinomato temperamento che lo ha guidato fino a oggi, lieti di ricordare che il mitico Arthur Rubinstein, quale membro di giuria, a Varsavia ebbe a dire di lui: “Suona tecnicamente meglio di tutti noi!”. E oggi lo troviamo a fare progetti per l’avvenire senza indugiare mai troppo nel guardare al passato. Come avviene sempre negli intenti di chi sia animato dalla forza propulsiva dall’arte, in lui tutto volge verso un futuro pieno di idee, ancora da realizzare.

Il ceco (nato in Moravia, territorio della Repubblica Ceca), Alfred Brendel, è un altro colosso tra i pianisti del XX secolo, poiché vanta una posizione predominante nel parterre dei musicisti più eccelsi della scena attuale, pur avendola abbandonata da qualche anno, era il 2008, dopo essersi distinto nell’interpretazione di pagine di musica del periodo classico-romantico, tra capisaldi quali Haydn, Mozart, Beethoven, Schubert, Brahms e Liszt, seppure non abbia trascurato la dodecafonia di Schönberg. Affermatosi quale vincitore del quarto premio al Concorso Busoni di Bolzano nel 1949, analogamente a Pollini anch’egli ha lavorato alle sonate di Beethoven dagli anni 60, allorquando realizzò la prima incisione dell’integrale dell’opera pianistica del genio di Bonn per l’etichetta Vox.

 “Se appartengo a una tradizione è una tradizione che fa dire al capolavoro che cosa l’esecutore dovrebbe fare e non fa dire all’esecutore come dovrebbe essere il brano o che cosa il compositore avrebbe dovuto comporre”. Tale è sempre stato il credo artistico che Brendel ha posto alla base di una carriera sfolgorante. Il suo approccio etico alla musica impone che le emozioni vengano filtrate attraverso l’intelletto, altrimenti non si fa arte, ma ciò non va affatto a detrimento del sentimento, che è comunque l’essenza vitale della musica.

I suoi 60 anni di onorevole attività concertistica internazionale lo hanno portato a suonare in tutti i più importanti luoghi della musica, con le orchestre e i direttori più prestigiosi, sfornando una discografia tra le più cospicue del settore che comprende anche il concerto di commiato con i Wiener Philarmoniker dei quali è membro onorario dal 1998. Insignito di premi come la medaglia Hans von Bülow dei Berliner Philarmoniker, ha ricevuto molti importanti riconoscimenti alla carriera nonché diverse lauree ad honorem dalle università di Oxford, Cambridge, Yale e dalla McGill di Montreal, e dal 1989 è stato nominato Cavaliere Onorario dell’Impero Britannico. Non a tutti è noto inoltre che l’estro artistico di Brendel si muova sul doppio binario Letteratura-Musica, aspetto che potrebbe richiamare direttamente il nome di un grandissimo della storia della musica quale Robert Schumann, il cui ingegno si articolò sempre tra espressione letteraria e oggettivazione musicale, sebbene in modo concettualmente diverso. Infatti, se per Schumann la musica può sgorgare dall’idea letteraria e trovare in essa la propria scaturigine, per Brendel la scrittura è un altro modo di manifestare il suo essere artista a tutto tondo, e, in particolare, per trovare un modus loquendi con la sua profonda arguzia. Autore di scritti musicologici, egli spazia dall’autobiografia Alfred Brendel on Music alla poesia, Spiegelbild und schwarzer Spuk e alla saggistica: Music, Sense and Nonsense, Collected Essays and Lectures è uscito nel 2015 per Robson Press, mentre  A bis Z eines Pianisten, piccolo dizionario enciclopedico dalla struttura alfabetica che espone alcuni punti di vista musicali, è uscito anche in Italia, per Adelphi nel 2014. Col titolo Abbecedario di un pianista. Un libro di lettura per gli amanti del pianoforte consiste in un vademecum intorno al pianoforte, strumento capace di evocare” il canto della voce umana, il timbro di altri strumenti, l’orchestra, l’arcobaleno o l’armonia delle sfere”.

Il ricchissimo curriculum di Brendel include ancora molte altre attività, come ad esempio l’insegnamento alla Cité de la Musique di Parigi e l’incarico di guest professor a Cambridge ma lui, Brendel, dopo aver collezionato una vita di onori nella musica, ha trascorso la pandemia in clausura studiando il pensiero di Goethe in rapporto all’arte dei suoni e scrivendo un saggio sul Journal of the English Goethe Society, mentre prosegue le ricerche sul fronte di indagine aperto fra Goethe e Beethoven oltre a procedere alla stesura di un libro su Haydn.

Questa personalità a dir poco eclettica trova nella dimensione dell’‘assurdo’ una chiave di volta per affrontare le questioni esistenziali o pragmatiche, anche le più serie. Brendel è convinto infatti che possiamo accettare l’assurdità della vita soltanto se riusciamo a osservarne e valorizzarne il lato comico. E così ripone nel riso un ingrediente fondamentale per vivere la tragicità dell’esistenza. La sua acuta, sensibile e intelligente lettura della realtà conquista, così come la notevole esperienza musicale accumulata sulle pagine dei grandi classici incanta. Auguri, dunque a questo novantaduenne portentoso! E auguri al nostro portentoso Pollini!

 

 

 

 

Print Friendly, PDF & Email
Condividi con:
LEGGI TUTTE LE NOTIZIE