2025. Siamo ancora lontani dal giro di boa di metà XXI secolo, che prometteva straordinari cambiamenti virtuosi nella nostra società in termini di pace, libertà e democrazia, relegando a mero cinema di fantascienza l’idea di un futuro distopico e involuto; ma certi segnali sembrano inequivocabili e stanno ridimensionando quel senso iniziale di fiducia e di ottimismo.
C’è un vento di conservatorismo, di populismo nazionalista e imperialista che spira impetuoso nel mondo. I fascismi, le dittature, gli espansionismi supportati da una scienza e da una tecnologia disposte al più vieto affarismo crescono sotto gli occhi di tutti. La Russia di Putin che guerreggia per annettersi mezza Ucraina, la Cina di Xi che rivendica in modo sempre più aspro il possesso di Formosa, l’Islam che ancora ritiene obbligatoria la diffusione messianica e politica dell’interpretazione più integralista del Corano in tutte le direzioni del mondo, Trump che è pronto ad ogni sforzo per annettersi non solo la fredda Groenlandia, ma anche il ricco Canada e il canale di Panama, mentre rinuncia a collimare con l’Europa se non alle proprie condizioni. D’altronde l’ Europa non sembra da meno; passi la sudditanza della Bielorussia (con le repubbliche caucasiche) a Putin, ma il più vieto nazionalismo sta conquistando il potere in Ungheria, in Slovacchia, in Austria, ma anche in Olanda, in Francia, in Germania, nell’Italia dei nostalgici, dei Salvini e soprattutto dei Vannacci. Lasciamo stare per ora la spiegazione dell’affermarsi di queste tendenze: diciamo solo che chi occupa uno spazio lo fa in colpevole assenza di chi quello spazio non ha saputo conservarlo. Chi vuole capire, negli schieramenti progressisti o nei salotti buoni dell’intellettualismo politicamente corretto, capisca…
Contemporaneamente, diventa sempre più massiccia l’emigrazione dal sud del mondo, con conseguenze che purtroppo non sono soltanto quelle benevole e positive di carattere umanitario, ma anche quelle di una difficile convivenza tra orientamenti e costumi antropologici, etici, ideologici e politici molto diversi fra loro. Di qui, le tante difficoltà di una società sempre più eterogenea e difficile da leggere, interpretare e prevedere nelle sue dinamiche e nelle sue problematiche sistemiche.
Ma c’è di più. Cedono il passo anche l’ambientalismo, la difesa della Natura, il rifiuto delle fonti energetiche non rinnovabili, gli sforzi per uno sviluppo sostenibile. Le annuali COP internazionali (Conference Of Parties) ambientaliste, che in passato dettavano al mondo i ritmi della crescita sostenibile, ormai sembrano dei rituali senza alcun potere decisionale reale. Il mercato dell’ auto si sta stravolgendo (l’auto italiana è pressoché scomparsa, resiste solo la Ferrari, che è prodotto di nicchia). Perfino l’auto elettrica segna il passo in occidente, perché si stanno rivoluzionando le tradizionali gerarchie produttive: oltre la metà delle auto circolanti a batteria nel mondo (le cosiddette BEV) sono ormai cinesi, perché un’auto elettrica non va né ad energia solare, né eolica, ma per le batterie ha bisogno di minerali rari che non si trovano ovunque e chi ne possiede influenza tutta la filiera produttiva e perfino la politica internazionale.
Nel frattempo, più che la circolazione automobilistica, sono ancora le fabbriche ad ammorbare l’atmosfera: celebrate, difese e sfruttate a pieno regime soprattutto nei paesi BRIC, in copiosa ascesa economica e tutt’altro che disposti a rinunciare a quell’industria che ne ha decretato l’emancipazione produttiva e quindi politica.. La riprova? Tra gli uomini più ricchi del mondo, non si annoverano soltanto gli innovatori tecnologici come Musk, Bezos, Zuckerberg, peraltro schierati oculatamente con il potere più autoritario, come prevedeva la fantascienza più pessimista, quella di Matrix, Hunger Games, Divergent. In realtà al loro fianco resistono ancora gli sceicchi che possiedono sterminate distese di campi petroliferi, segno che il petrolio, il gas naturale si vendono che è una bellezza. E intanto, nonostante Three Mile Island, Chernobyl, Fukushima, qualcuno – in vena di autonomie energetiche di stampo nazionalpopolare – vuole riesumare le centrali nucleari…
Non basta. Il futuro digitale e l’Intelligenza Artificiale Generativa ci stanno riservando prospettive confuse. Ci libereranno da ulteriori fatiche operative e cognitive, ma c’è il rischio fondato che sarà difficile districarsi in un mondo doppio, o triplo, in un metaverso dove realtà e finzione diventeranno sempre meno distinguibili tra loro. Le grinfie di un uso distorto della tecnologia 5.0 si stanno allungando anche sulle libere elezioni nei paesi democratici, l’ultimo baluardo che tra poco resterà a distinguere la pratica della libertà dalla tirannia.
Le nuove generazioni che stanno ereditando questo nuovo mondo, questo antropocene che vira pericolosamente in un incertocene ipertecnologico ma del tutto fungibile, si stanno adattando ad esso e ne stanno anzi diventando i principali artefici e promotori. Di passata, va sottolineato che si sta anche e inevitabilmente rivoluzionando la dinamica dell’apprendimento, che non segue più le scansioni temporali, metodologiche e gerarchiche della socializzazione formativa che conoscevamo. Oggi comanda ChatGPT e i suoi generosi tentacoli si stanno impadronendo anche della scuola.
Stanno cambiando le forme del consumo, delle fonti di informazione, degli strumenti di comunicazione, sempre meno legate al territorio, con pesanti conseguenze non solo sul costume e su certi principi etici che li governavano, ma anche sull’assetto, sull’uso e sul significato del tessuto urbano storico, tradizionale nel quale hanno vissuto le generazioni almeno fino alla Y, quelle dai trentenni agli ottantenni di oggi.
Paolo Benanti ha scritto che stiamo per immergerci definitivamente in un’epoca del tutto nuova, dove si stanno rovesciando non solo la politica e l’economia che conoscevamo, ma le priorità, gli ideali etici e persino le certezze scientifiche; un’epoca che non è solo nuova, ma è anche terribilmente diversa da quella che fino a ieri molti di noi hanno sperato e auspicato di veder compiutamente realizzata in questo XXI secolo. Cicerone si lamentava duemila anni fa del suo mondo (“o tempora, o mores”); i nostri bisnonni allibivano di fronte alle prime automobili e all’indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale filosofi neomarxisti come Fromm e Horkheimer prefiguravano la fine della libertà nonostante che le dittature fossero uscite sconfitte nel loro scontro con le democrazie. Può darsi che in un boomer e in un esponente della Generazione X il cambiamento, il futuro alle porte generino allarme. Ma mai come oggi il futuro sembra incerto, regressivo e comunque deludente rispetto a certe aspettative maturate all’ombra della libertà, della democrazia e del libero arbitrio. E ad avvertire dei pericoli e delle aporie del nostro secolo non sono più i governanti illuminati che hanno potere politico ed economico nel sistema internazionale, come i grandi difensori della democrazia e della dignità umana del ‘900, ma un papa Francesco che gode sì di stima e di deferenza, ma che non ha alcuno strumento per cambiare il corso dei tempi e per influenzare il libero arbitrio dell’Essere Umano, anche quando questo corre lungo il periglioso precipizio dell’involuzione liberticida invece che lungo le rigogliose praterie dell’evoluzione creatrice.
Comunque, niente paura: il cambiamento è ineluttabile, con buona pace dei passatisti, e porta con sè inevitabili momenti di disagio e di disorientamento. Sta a noi renderlo virtuoso, rendendoci conto delle opportunità e dei rischi, piuttosto che pericoloso.
Il cambiamento è come il coltello: puoi farne buon uso in cucina, o farne una terribile arma. E possiamo decidere insieme che cosa farne.
Francesco Mattioli
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