Ronciglione: tra ovattati silenzi, tradizione e fascino

di DANIELA PROIETTI-

RONCIGLIONE (Viterbo) – E’ strano come a volte riusciamo a sentirci stranieri nella nostra stessa terra. Ci sono zone che si conoscono come i panni che indossiamo, altre che non abbiamo mai battuto, nonostante si trovino poco distanti da quelle in cui siamo soliti passare.

Tanti anni fa, era abitudine muoversi per paesi il sabato sera o la domenica pomeriggio. A volte si andava in coppia, altre in gruppo. Si giungeva nei vari comuni della provincia per consumare qualcosa al bar, oppure per cenare ma, inesorabilmente, si finiva per conoscere sedie e tavolini e  quasi mai le particolarità architettoniche o gli edifici storici che sorgevano in questi luoghi.

Ronciglione, è uno dei paesi più importanti della provincia. Innanzitutto è teatro di uno dei carnevali più conosciuti d’Italia, poi si trova sulla strada che porta a Roma, e ne costituisce una tappa mediana, non tanto per la sua collocazione, quanto per il fatto che una volta raggiunto si ridiscende dalla montagna. E’ anche uno dei comuni il cui territorio viene bagnato dalle acque del Lago di Vico e, soprattutto, ha un centro storico molto affascinante che, come asserivo poco fa, mi era quasi totalmente sconosciuto.

Siamo arrivati a Ronciglione seguendo una via che non conoscevamo. Il navigatore ci ha lanciati verso stradine strettissime in cui, qualora avessimo incontrato un’altra automobile, ce la saremmo dovuta giocare ai dadi.

Tra anse e seni d’asfalto, ognuno di essi accarezzato dalla vegetazione preappenninica, abbiamo scorto una chiesetta di campagna, che abbiamo poi scoperto essere la Chiesa della Madonna del Barco. Il piccolo edificio, dall’intonaco tra il giallo e l’ocra, che si rivela in armonia con la natura circostante, è situato nel territorio caprolatto e la sua denominazione deriva dal nome del Casino di Caccia del Barco, che venne fatto costruire dalla famiglia Farnese.

L’interno, sebbene di dimensioni limitate, ad una sola navata e con il tetto a capanna, è caratterizzato da un bel dipinto, raffigurante Maria, con una solida cornice che ne fa risaltare forme e toni. L’esterno, invece, si contraddistingue per la presenza di un piccolo portico, recentemente restaurato. Le colonne originali sono state sostituite con le attuali in peperino. Sovrasta il tetto un piccolo campanile a vela.

Non c’era alcun segno di presenza umana attorno alla chiesa, eppure, ci è stato raccontato che fino a qualche decennio addietro la chiesa era la meta finale di una scampagnata, detta “Festa del Barco” a cui partecipavano numerose persone. Tra processione, funzione religiosa, giochi popolari e pic-nic, gli antenati degli abitanti caprolatti o ronciglionesi, trascorrevano una giornata coronata da una salutare passeggiata al laghetto farnesiano.

Nel grande possedimento sul versante Cimino, scorre anche un fiumiciattolo, denominato Fosso di Sassovolto, testimone della presenza di insediamenti etruschi, dati di numerosi reperti ritrovati. La valle, inoltre, vede i ruderi del Casino di Caccia della tenuta del Cardinale Alessandro Farnese, che venne progettato e costruito dal Vignola, architetto cui si devono la quasi totalità delle opere fatte realizzare dalla potente famiglia. La valle è chiusa nella sua parte orientale da un muro di contenimento per le acque che provengono dalle vicine sorgenti.

Tali fonti idriche, andavano ad alimentare un portentoso sistema di irrigazione che serviva casali e mulini.

Abbiamo proseguito in direzione di Ronciglione, la meta ultima della nostra breve gita fuori porta.

Sono abituata ad arrivare in questo comune, posto a 440 mt s.l.m., e che conta oltre 8500 abitanti, dopo aver percorso la Cassia Cimina e superato il Lago di Vico e vedendone il suo volto più moderno. Scoprirlo dal suo lato di levante, è stata una bellissima sorpresa. La parte vecchia del paese, medievale, ci è apparsa, complici le pesanti nuvole grigie che ci minacciavano da alcune ore, nella sua più naturale ambientazione, leggermente tetra.

Ci siamo incamminati lungo la via che conduce al ponte che collega il paese alla sua zona periferica. La folta e verde vegetazione, disegnava un quadro affascinante e fuori dal tempo, attraendo lo sguardo e quasi annullando il peso della fatica accumulata nei nostri lunghi spostamenti a piedi.

Ci siamo soffermati più di una volta per cogliere quell’anima che si sarebbe poi svelata a noi nella sua forma più ammaliante. I pensieri e le parole, erano tutti rivolti alla sorpresa di scoprire quel ginepraio di abitazioni arroccato su uno sperone di tufo. Il ponte, sospeso a diverse decine di metri, si risolve nella Via Farnesiana, che conduce al castello e, prima ancora, alla piazza, denominata Principe di Napoli, la quale ci ha incuriositi a causa del grande edificio  semidistrutto in conseguenza ai bombardamenti effettuati durante la seconda guerra mondiale. A distanza di oramai oltre settant’anni, un rudere in degrado appare come un edificio storico, testimone di una tragedia che ha falciato vite umane e, come in questo caso, stabili.

La Via Farnesiana, come si deduce facilmente dal nome, si rese indispensabile negli anni in cui il paese divenne un importante centro grazie alla presenza della famiglia.

Conversando piacevolmente con un abitante del luogo, sono stata invitata a pensare il borgo nell’epoca che precedette l’avvento dei Farnese (1527). Il punto in cui sorge ora il Duomo, segnava la fine del centro abitato. Per merito del Cardinale Alessandro, la cittadina si sviluppò notevolmente. Verso il lato settentrionale, che guarda alla vicina Caprarola, vi era un fossato, che dovette essere interrato per far spazio ad una via di scorrimento. Inoltre, come ci è stato ricordato, sulla rupe è visibile la prima abitazione farnesiana, in cui visse Fulvio Cacciati, che per lunghi anni servì il Cardinal Farnese.

Così venne aperta la via, che conduce alla piazza in cui è situato il Palazzo del Comune.

Nella zona è presente il cosiddetto Tridente Farnesiano, composto dalle vie   della Campana,  Farnesiana e del Rosario. La prima era sede di un albergo per pellegrini e viandanti; il palazzo era sovrastato da tre campane, di qui la denominazione della strada. Nell’ultima, invece, si trova una bellissima chiesa, intitolata  al Santissimo Rosario, che venne edificata nel 1626 come oratorio pubblico per la Confraternita del Rosario.

Nella vicina piazza, troneggia la Fontana dei Liocorni, realizzata nel XVI secolo e considerato uno dei monumenti più belli del comune ronciglionese.

Situata di fronte al Palazzo Comunale che la comunità di Ronciglione, nel 1498, diede incarico di costruire, venne commissionata sempre dal Cardinale Farnese, il futuro pontefice Paolo III e, dato il committente, la tradizione la indica come disegnata dal Vignola, l’architetto che lavorò, come spesso ricordato, al servizio della famiglia.

Ci siamo spostati verso l’antico castello, non prima di aver ammirato l’imponente e maestoso Duomo, dedicato ai santi Pietro e Caterina e risalente alla metà del XVIII secolo, che venne edificato sulle fondamenta del suo predecessore, di cui rimane il campanile. Sembra, difatti, che in quel luogo fossero presenti le rovine di un’altra chiesa, costruita nel ‘600 e poi lasciata al degrado. Per queste ragioni, la comunità ronciglionese venne tassata affinché si potesse edificare un nuovo, grande, duomo.

Al proprio interno, sono conservate opere pregiate, come una pala raffigurante la Madonna del Rosario, un trittico dedicato al San Salvatore Benedicente, una tavola settecentesca e un’opera attribuita a Giulio Romano.

Sulla navata sinistra, si trova un altare dedicato alla Madonna delle Grazie che, originariamente, era contornata di angeli dorati in legno. Nel 2001 se ne iniziò un restauro che non si è mai concluso, sebbene siano stati recuperati gli angeli.

La grandiosità della chiesa, assieme allo stucco chiaro, si contrappone agli edifici che sorgono lungo le vie che si dipanano dalla piazzetta posteriore al castello.

Una volta girato l’angolo, è stato come essere catapultati otto secoli indietro. La pietra grigia, ravvivata in alcuni punti da piante e fiori, racchiude la storia di questo borgo millenario il cui nome parrebbe aver dato adito a diverse interpretazioni.

Alcuni dicono che derivi dal nome di un nobile francese, tale Rossilon, che decise di trasferirsi in questi luoghi, addirittura nel lontanissimo VIII secolo, per poter godere dell’aria salubre che vi si respirava. Il signore, a quanto si dice, aveva nel proprio stemma due leoni, come quelli rappresentati nell’ attuale. Altri indicano che l’origine sia dovuta al fatto che vi si fabbricavano ronci ed altri attrezzi agricoli in ferro. Un’altra ipotesi, più accreditata, è quella che derivi dal nome della rupe, un massiccio rotondeggiante, a forma di roncola, su cui sorge l’antico abitato.

Questo territorio, come molti dei circostanti, e lo si deduce dalle necropoli nei dintorni, sembra sia stato abitato dalle genti etrusche; anche i Romani si insediarono in quei luoghi, senza lasciare in eredità particolari opere. Lo splendore venne raggiunto nei secoli che vennero poi.

Il nome di Ronciglione compare, per primo, in un documento datato 1103, mentre la fondazione, attribuibile ai Prefetti di Vico, risalirebbe al secolo precedente. Si dice che intorno al 1045, venne rifondato sopra alle antiche rovine. Nel medioevo, attorno al X-XI secolo, si costituì sullo sperone tufaceo che dominava la valle del Rio Vicano (immissario del Lago di vico) ed era dominato dalla massiccia mole del castello.

L’antica rocca, edificata dalla famiglia di origine germanica, presente a Roma sin dal X secolo, dei  Prefetti di Vico, sorgeva a guardia di quello che rappresentava l’unico accesso naturale alla città. Nei secoli successivi alla sua costruzione, che avvenne all’inizio del XII secolo, subì numerosi mutamenti e destinazioni. La proprietà migrò spesso dagli Anguillara ai Della Rovere e poi, nella seconda metà del XV secolo, passò sotto il controllo pontificio. Quello fu il momento in cui venne operata una vera e propria fortificazione grazie all’aggiunta di un mastio circolare e delle quattro torri all’angolo, da cui deriva la denominazione popolare de “I Torrioni”.

Nel 1526 fu affidato al Cardinale Alessandro Farnese e diventò il primo nucleo di quello che diverrà il Ducato di Castro.

Dopo il saccheggio dei Lanzichenecchi, il Farnese lo restaurò e trasformò in residenza nobiliare. Successivamente alla caduta di Castro, tornò ad essere patrimonio della Chiesa, per poi passare ai privati che non se ne curarono affatto, riducendolo in stato di forte degrado. Ancora oggi appartiene ad un privato e viene aperto soltanto per gli eventi.

Dal castello ci siamo mossi lungo la via che taglia al centro il Borgo di Sopra, separato dal Borgo di Sotto attraverso il Campanile della Provvidenza.

Il cielo iniziava ad imbrunire nonostante fossero ancora le prime ore del pomeriggio, e  le nuvole, rimaste inermi per l’intero nostro giro, iniziavano a dissolversi in tante piccole gocce che andavano ad imperlare le antiche costruzioni. Di tanto in tanto, mi spostavo al di sotto delle sporgenze dei tetti, per cercar di porre al riparo i miei capelli che non amo vederli scomposti.

A piccoli passi, e con gli occhi rivolti verso l’alto, abbiamo passeggiato lungo la via, accompagnati da una cordialissima signora del posto, che sin dalle prime parole abbiamo riconosciuto come esperta e amante del luogo in cui è nata e cresciuta.

La signora Diana ci ha introdotti all’interno della storia di Ronciglione, spiegandoci l’assetto urbanistico del paese e facendoci notare, addirittura, la particolarità della composizione della pietra tufacea, contenente parti di pomice, facilmente individuabili a causa della caratteristica coloritura nera.

La passione della signora, che abbiamo scoperto essere una professoressa e un’artista specializzata nella realizzazione di opere in ceramica, delicatamente esposte all’esterno della sua abitazione, che tanto assomiglia ad una casa delle fiabe, si è rivelata mentre ci spiegava l’importanza  della Chiesa di Sant’Andrea, l’antico duomo e Collegiata dei Santi Pietro e Caterina.

Ciò che resta della chiesa, semidistrutta dai bombardamenti,  è collocato di fronte al Palazzetto del Guerriero e del Poeta, fatto innalzare dal conte Everso degli Anguillara nella metà del XV secolo e che fu la sede della prima scuola di grammatica di Ronciglione. Il nome con cui è conosciuto, deriva dai copricapo scolpiti su di una finestra, tipici del sommo poeta, Dante Alghieri, e di colui che fece costruire lo stabile.

La chiesa fu realizzata nell’XII secolo in stile gotico e venne eretta, con ogni probabilità, al di sopra della più antica intitolata a  San Leonardo. Attualmente sono visibili soltanto la struttura esterna, minime parti delle colonne e dei capitelli marmorei e il campanile fatto restaurare dal Conte Everso degli Anguillara nel 1436 per mano di Mastro Galasso De Anna. Composto in uno stile che richiama elementi romantici, ha quattro piani con finestre monofore, bifore e trifore e  un ultimo piano a pianta ottagonale. Sulla facciata sono inserite un’iscrizione marmorea che attesta l’anno di costruzione del campanile e lo stemma della famiglia degli Anguillara.

Varcando la porta d’ingresso della chiesa, ci si ritrova in uno spazio all’aperto che rivela il profilarsi di colli boscosi.

Il silenzio, ancora una volta, ci ha ammantati come una coperta tessuta con le lane più morbide, mentre calpestavamo le pietre secolari e volgevamo lo sguardo sulla splendida natura della nostra madre Tuscia.

(fine prima parte)

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