Rosa in esilio senza che i viterbesi si opponessero

di FRANCESCO MATTIOLI-

VITERBO – Leggo su alcuni giornali locali che, presentando la sua opera “Piedi scalzi, tasche vuote e cuori in festa” scritta assieme a Giorgio Chioccia, l’amico Silvio Cappelli ha lamentato come Rosa e la sua famiglia siano stati cacciati da Viterbo senza che nessuno si opponesse.

Stimo molto Cappelli e apprezzo il suo interesse per la storia della Santa e soprattutto per il difficoltoso cammino che Rosa dovette intraprendere, in inverno, per ricoverarsi altrove da Viterbo. Il “Cammino sulle vie dell’esilio di Rosa” oggi, tra boschi e sentieri come allora, ci serve per comprendere quanto quella fanciulla debole e malata abbia potuto soffrire nel fisico e nell’animo, ma ci testimonia anche della forza e della determinazione con cui affrontava ogni episodio della Sua vita, e della Sua missione.

Ho tuttavia una obiezione. Rosa cacciata senza che a Viterbo nessuno si opponesse? Ed è stata cacciata perché Rosa difendeva i poveri? Mi sembrano una osservazione e una spiegazione un tantino riduttive.

Facciamo pure la dovuta tara, come per qualsiasi agiografia, anche quando si veste di narrazione storica, su certi episodi della vita della Santa. Tanto per dirne una, non ce la vedo, così malaticcia, ad incitare i viterbesi sulle mura mentre respingono gli attacchi dell’esercito di Federico II.

Ma che Rosa facesse opera di carità e, allo stesso tempo, di lotta all’imperatore e quindi ai suoi sodali ghibellini viterbesi, questo è sicuro. Tutte le cronache concordano; e di certo questa impresa popolare della fanciulla non dispiaceva alla fazione guelfa, finché dominava in città.

Poi, le cose cambiano. I ghibellini passano al potere e, come d‘uso d’allora, fanno pulizia. Nel migliore dei casi ricorrendo all’esilio degli avversari; e che si preoccupino di esiliare una fanciulla malaticcia la dice lunga su quanto costei avesse fatto in città, tanto da meritare un simile provvedimento.

Perché difendeva i poveri? Riduttivo. C’erano poveri guelfi e poveri ghibellini, o forse solo poveri che, per la loro stessa marginalità, si orientavano dove tirava il vento in cerca di qualche protezione e di qualche regalia. Peraltro voglio ricordare che i movimenti pauperistici d’allora, come i Catari, avversi al Papa, spalleggiavano i ghibellini. Rosa sferzava l’imperatore e i suoi accoliti; e soprattutto per questa sua diuturna opera viene cacciata da Viterbo.

Cacciata senza che qualcuno si opponesse?

Non mi sembra ci si debba sorprendere. Se qualcuno si fosse opposto avrebbe preso la stessa via di Rosa; o forse peggio. Chi poteva opporsi era stato sconfitto, rischiava la pelle perfino nel suo palazzetto fortificato a San Pellegrino, mentre i poveri si guardavano bene dal rischio di perdere quelle quattro prebende che potevano racimolare dal governo ghibellino. Eppure, certe cronache sembrano sostenere che il popolo salutò in triste silenzio, ma taluni con pianti e stridore di denti, l’uscita di Rosa da Porta San Matteo.

Ma che il popolo tacesse di fronte alle ingiustizie nel medioevo era “normale”; e per certi versi è accaduto e accade anche ai nostri giorni. Nonostante mille anni di esaltazione degli ideali di libertà e di democrazia, oggi ci sono dittature dove opporsi significa rischiare la vita. Non era una impresa da consigliare ai viterbesi di allora…

Quindi, i viterbesi non si sono opposti all’esilio di Rosa non perché non importasse; ma perché non potevano opporsi, non potevano dire una parola a suo favore senza rischiare il peggio. Qualche tempo dopo, il vento della politica cambia direzione e tornano al potere i guelfi, il card. Capocci e il Papa. E Rosa, tornata a Viterbo, seppure allo stremo continua di nuovo la sua opera, fino alla morte.

(Per chi fosse interessato, rinvio al mio Meritalo, e se vuoi quella montagna si sposterà, La Bussola, 2023)

image_pdfEsporta in PDFimage_printStampa la pagina
Condividi con:
LEGGI TUTTE LE NOTIZIE