di CINZIA DICHIARA-
ROMA- Se intendessimo stilare una classifica degli interpreti di Mozart sarebbe di sicuro tra i primi e nel definirne il carattere interpretativo potremmo conferirgli l’attributo di ‘apollineo’, dopo aver ascoltato il suo concerto- evento sabato scorso al Parco della Musica di Roma ove il pianista viennese Rudolf Buchbinder ha interpretato tre concerti di Wolfgang Amadeus Mozart (Salisburgo 1756- Vienna 1791) nel duplice ruolo di pianista e direttore dell’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, tornando alla storica istituzione romana presso la quale si era esibito per la prima volta nel 1969 in duo col leggendario violinista Nathan Milstein, dopo l’ultima volta nel 2017.
Sessantacinque anni di carriera, membro onorario di storiche istituzioni musicali come i Wiener Philarmoniker, i Wiener Symphoniker, la Gesellschaft der Musikfreunde, la Wiener Konzerthausgesellschaft e l’Israel Philharmonic Orchestra, nonché primo solista insignito del Distintivo d’Onore della Staatskapelle di Dresda, Buchbinder è tra le massime celebrità musicali del mondo e ha al suo attivo più di cento dischi. Fra questi, l’incisione di tutte le opere pianistiche di Haydn premiata con il Grand Prix du Disque, e altresì dal vivo, tipo di incisione da lui preferita, quella dei due Concerti per pianoforte di Brahms con Nikolaus Harnoncourt e la Royal Concertgebouw Orchestra.
Noto soprattutto per aver dato a Beethoven una rilevanza preponderante all’interno del proprio impegno, testimoniata anche dal suo libro My Beethoven – Life with the Master, ha eseguito più di sessanta volte nel mondo le trentadue sonate divenendone l’interprete più autorevole e ha suonato i cinque concerti con le orchestre più prestigiose, eseguendoli tutti e cinque, onore concesso per la prima volta dal Musikverein di Vienna a un solo interprete, nel 2019-20, diretto da mostri sacri della bacchetta come Andris Nelsons, Riccardo Muti, Mariss Jansons, Valery Gergiev e Christian Thielemann. La Deutsche Grammophon lo ha inoltre celebrato con la pubblicazione delle sue registrazioni beethoveniane nel 2021.
Ebbene, in Mozart il pianista viennese non è da meno, e, anzi, la sua interpretazione rifulge per la maestria sapienziale acquisita avendo egli interpretato da tutta la vita i concerti per pianoforte e tutte le sonate del genio di Salisburgo, e avendo anche registrato i concerti con i Wiener Symphoniker nel 1998, premiati come “incisione dell’anno”. Il suo è un lavoro filologico che attinge alle fonti originali dei brani, con attenzione alla tradizione interpretativa e alla prassi storicamente informata e in realtà la musica di Mozart gode di una centralità nel suo repertorio.
“Nei concerti di Mozart”, afferma Buchbinder, “emerge una dimensione personale che continua a incantarmi. È musica privata, che parla al cuore di ogni ascoltatore”.
Lo si evince nel suo modo di interpretare ogni inciso, ogni passaggio, ogni colore armonico della tessitura dando al pianoforte la capacità di esprimere in modo polifonico una vastissima gamma di intrecci, sovente fatta di riflessioni cupe oppure dolcissime, di intimo abbandono, talora con istanti di ripiegamento contemplativi o dolorosi, altresì ponendosi in dialogo con le altre componenti orchestrali, mentre gli strumentisti ceciliani rispondono col gusto finissimo di un’orchestra che è stata preparata a dovere.
Ascoltandolo sembra che Buchbinder abbia condiviso appieno il pensiero che ha ispirato il recente volume ‘Il vero Mozart’ del musicologo canadese Cliff Eisen, l’obiettivo del quale è restituire un ritratto del genio assoluto di Wolfgang sfrondato dalla mitologia accessoria che lo ha sempre accompagnato. Sia Eisen sia Buchbinder, infatti, ciascuno con i propri mezzi comunicativi, sono del parere che l’opera di Mozart sia il frutto di una mente progredita, di un uomo completo e maturo, abbastanza colto e cosmopolita, e che la sua bellezza abbia origine nella piena consapevolezza, altresì nell’intimo sentire, di un artista raffinato fino al sublime. Non si spiegherebbero diversamente l’altezza metafisica della musica, la conoscenza delle molteplici sfaccettature umane, la gioia del sentimento d’amore, il lacerante dolore dell’esistenza e l’affidamento a un Dio supremo ma benevolo, di cui egli, nonostante la totale libertà di pensiero, riconosce l’autorità.
In buona parte la lettura di Mozart da parte di Buchbinder risente positivamente dell’influsso interpretativo primonovecentesco, affondando le radici nell’estetica mozartiana maggiormente considerata, perlopiù radicata nel classicismo teutonico, unitamente a una grazia tutta viennese, galante e rococò, mai leziosa, bensì profondamente pensata. Chiaramente il pianista è molto preso dall’estetica: la ricerca della bellezza del suono predomina in lui, insieme al controllo formale. Ma a tale aspetto egli assomma il coté più antropico di Mozart, la sua capacità di trattare l’animo umano con la profondità di un sapiente e al tempo stesso con la semplicità di un uomo.
Cosa che si intuisce facilmente fin dall’apertura del Concerto n 27 in si b magg. K 595, che rivela subito la sua preziosità di tocco, insieme col dominio dell’intera compagine solista-orchestra, sotto il segno di una visione polifonica in cui le parti vengono poste in risalto nettamente e i cantabili sono dispiegati con musicalità giocosa o malinconica, sempre finissima. Inoltre Buchbinder è attento a che il pianoforte, sia protagonista rimanendo comunque il ‘solo’, primus inter pares, anche nel pieno orchestrale. Curatissimi i periodi in crescendo, realizzati secondo un metro sonoro di ragguardevole ampiezza, puntando molto alle mezze tinte, mediante sfumature sensibilissime Al contempo il pianista, memore di dinamiche storicizzate, si compiace di evidenziare, laddove prevista, una dinamica a macchie di colore in alternanza tra ‘forte’ e ‘piano’, salvo essere pronto a un potente exploit nelle cadenze perfette dei passaggi sereni e vivaci o perentoriamente drammatici. Leggere le progressioni che di volta in volta si dipanano gradevolmente attraversando paesaggi inusitati in quella sorta di mise en scène teatrale che è la partitura dei concerti mozartiani più strutturati. Frattanto le sue scalette, velocissime, corrono via come lampi, scivolate in superficie, quasi a raggiungere l’ultraterreno.
Nel complesso, dunque, la preziosità sembra essere la cifra più evidente del pianismo mozartiano di Buchbinder: aristocratico è un aggettivo che sovente gli viene attribuito e in effetti la nobiltà con la quale egli pronuncia il tema del famosissimo Andante del Concerto n. 21 in do magg. K 467 evidenzia la classe di un eloquio pianistico commovente ma controllato, lirico eppure senza alcuna ridondanza, elegante fino a raggiungere gradi di trasparenza paradisiaca. Nella generale tensione emotiva prodotta dagli archi in terzine ribattute, l’entrata del pianoforte, sottovoce, si dispiega con effetto strepitoso. Un effetto che non è mai ricerca del sensazionalismo cui purtroppo oggi assistiamo continuamente secondo il trend. Niente in Buchbinder fa pensare all’abilità esibita; in lui l’effetto mira a raggiungere la ricercatezza contenutistica e mai a colpire.
Per suo stesso dire, in questo Andante, mentre la destra disegna il tema espressivo con una libertà disciplinata, la mano sinistra segna l’aplomb dell’andamento “come un metronomo”. Attitudine frequente dell’accompagnamento mozartiano che, dirigendo dalla tastiera con gestualità essenziale, garbata ed efficacissima, Buchbinder pone in risalto più volte in tutti e tre i concerti. Soprattutto nei passaggi sincopati, solo in rari momenti non troppo prontamente seguito dall’orchestra ma in generale da questa assecondato alla perfezione, egli opera costantemente una molteplice e variegata reductio ad unum.
Cosicché questo concerto, composto nel maggio del 1785, dunque nel produttivo e fecondo decennio viennese (1781- 1791), sembra rappresentare per lui un campo di sperimentazione degli ‘affetti’ secondo l’Affektenlehre barocca, appunto, campo nel quale trovano posto gli interventi premurosi dei legni, i passaggi pimpanti di corni e trombe e altrettanto il calore setoso degli archi che all’inizio del primo movimento Allegro maestoso introducono il tema in una sonorità ‘piano’ estremamente rarefatta, per esplodere con i fiati in una marcia che accoglie l’ingresso del pianista impegnato invece in un passaggio cadenzale: molto materiale tematico che muove un dinamismo vitale fraseggiato con cura da Buchbinder e dall’orchestra. Il terzo movimento Allegro vivace assai, infine, è tutto un giocoso andirivieni galante tra pianoforte e orchestra che l’artista rende godibilissimo nel suo mirabile virtuosismo del tutto privo di retorica.
Ciò che riguarda gli aspetti tecnici in Buchbinder è filtrato attraverso una sobrietà che sottintende, allude, accenna, ispira: pur rimanendo solidamente ancorato alla partitura egli si libra da essa e va oltre. Tale sensazione la fa da padrona nel Concerto n 20 K 466: con quel ritmo sincopato affidato agli archi, il suono come provenisse dal nulla, piano fino al limite dell’udibile, il timbro stupendo dell’orchestra che viene emergendo nella tonalità di re minore, i motivi drammatici del primo movimento, ove a tratti l’oboe solingo e nobile, col clarinetto e i legni in dialogo con gli archi, preparano il mesto ingresso del pianoforte che presto si agita in rapidi passaggi scalari preannuncianti l’inquietudine di fondo della tonalità drammatica per eccellenza nella letteratura mozartiana: il re minore. Questa ricorre infatti nella Fantasia K 397, nella Sinfonia d’apertura, oscura e tragica, del Don Giovanni, nella drammatica e agitata seconda aria, la più famosa, della regina della Notte in Die Zauberflöte, e infine, come sigillo della sua valenza tenebrosa, nella messa da Requiem.
Per contrasto, le brillanti progressioni del terzo movimento Allegro assai scorrono con grazia in modo discorsivo e calibrato mentre il ruolo del pianoforte si afferma in un grazioso dialogo con il flauto poco prima che il pieno orchestrale chiuda il festoso finale con trombe e timpani in gran pompa, gli accordi cadenzali conclusivi nella lucentezza solare maggiore dopo la tenebra della tonalità minore.
L’interpretazione di Buchbinder e dell’orchestra ceciliana strappa l’applauso calorosissimo di un pubblico in visibilio, desideroso di ascoltare ancora, tanto che le chiamate sono state reiterate. E l’artista è tornato sul palco sempre sorridente e soddisfatto, nell’atteggiamento apertamente grato di colui che ha concluso felicemente l’impresa.
Nonostante il prolungato applauso omoritmico tributato dall’intera Sala Santa Cecilia, non ha concesso l’attesissimo bis, cosa del tutto comprensibile, e mentre il pubblico si abbandonava ad ovazioni, il pianista ha avuto cura di salutare i professori d’orchestra uno ad uno, cominciando dalle prime parti e ringraziando i solisti e tutti i membri dell’orchestra della loro ottima prestazione. Un gesto di commiato davvero sentito, magnifico e toccante, prima di lasciare il palco.
Solo allora il pubblico ha cominciato a defluire dall’auditorium, in preda a un entusiasmo che sembrava non lasciar avvertire il freddo della speciale sera novembrina.
La recensione si riferisce al concerto di sabato 23 novembre 2024