Save the Children, in Italia sempre meno bambini e sempre più poveri

Sempre meno bambini e sempre più poveri. L’Italia nel 2023 ha conosciuto un nuovo record negativo per la natalità, con meno di 380mila nuovi nati[1], mentre la povertà continua a colpire i minori, i più piccoli in particolare: il 13,4% delle bambine e dei bambini tra 0 e 3 anni è in povertà assoluta[2], e circa 200mila di età compresa tra 0 e 5 anni (8,5% del totale) vivono in povertà alimentare[3], ovvero in famiglie che non riescono a garantire almeno un pasto proteico ogni due giorni. Oltre la metà risiede nel Mezzogiorno (Sud e isole), dove la percentuale sale al 12,9%. Quasi un bambino su dieci (9,7%) della stessa fascia d’età ha sperimentato la povertà energetica, cioè ha vissuto in una casa che non era adeguatamente riscaldata in inverno.

Le famiglie in povertà assoluta in cui sono presenti minori sono quasi 748mila, con un’incidenza pari al 12,4%, famiglie che si sono confrontate negli ultimi anni anche con aumenti rilevanti dei prezzi al consumo di alcuni beni e servizi essenziali per la prima infanzia. Dal 2019 al 2023, infatti, la spesa per prodotti alimentari per la prima infanzia (latte e pappe) è salita del 19,1% (più dell’aumento dell’inflazione pari al 16,2%) mentre il costo per la frequenza degli asili nido è aumentato dell’11,3%, con riferimento in particolare all’offerta privata (mentre per i posti finanziati dai Comuni l’aumento è pari all’1,5%)[4].

Sul fronte dei servizi educativi le famiglie incontrano molte difficoltà. Oggi meno di un bambino su tre dagli zero ai due anni (30%) trova posto in un asilo nido[5]un servizio fondamentale per combattere le disuguaglianze, con forti disparità territoriali. Nel 2026, quando dovrebbero concludersi gli investimenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ferma restando l’incognita sui costi di gestione che dovranno essere sostenuti dai comuni, si stima che l’offerta di servizi educativi per la prima infanzia salirà al 41,3% a livello nazionale, non lontano dal target del 45% fissato a livello europeo per il 2030[6]. Tuttavia, questa crescita rischia di non compensare i divari territoriali, tanto che due Regioni, Campania e Sicilia, che attualmente hanno il tasso di copertura più basso in Italia (rispettivamente del 13,2% e del 13,9%), in base alle stime sui progetti in corso, non riuscirebbero a raggiungere neanche il 33%, arrivando la prima al 29,6% e la seconda al 25,6%. Eppure, la Campania e la Sicilia sono la seconda e la terza regione, dopo la Provincia Autonoma di Bolzano, per incidenza dei bambini 0-2 sulla popolazione, e presentano alti tassi di povertà minorile e dispersione scolastica. Sempre tra le regioni del Sud, la Puglia è previsto raggiunga il 38,4% della copertura, mentre la Calabria si dovrebbe attestare al 40,3%.

Sono alcuni dei dati inediti contenuti nella XV edizione dell’Atlante dell’Infanzia a rischio in Italia, dal titolo “Un due tre…stella. I primi anni di vita”, pubblicato oggi da Save the Children. L’Atlante restituisce la fotografia della prima infanzia in un Paese fragile, con profonde disuguaglianze sociali e territoriali, in cui i nuovi nati sono sempre meno e le opportunità, fin dai primi mille giorni di vita, non sono uguali per tutti, dalla salute all’ambiente, ai servizi educativi.

“Abbiamo voluto dedicare questo XV Atlante dell’Infanzia ai bambini più piccoli, nella consapevolezza che i primi mille giorni di vita sono determinanti per la crescita e lo sviluppo di ciascuno. Troppi genitori oggi in Italia affrontano la nascita di un bambino in solitudine, senza poter contare su adeguate reti di sostegno. Il supporto alla prima infanzia è un obiettivo da mettere al centro di tutte le scelte della politica: nel campo della salute come in quello dei servizi educativi; nel contrasto alla povertà così come nella tutela dell’ambiente – ha dichiarato Claudio Tesauro, Presidente di Save the Children – Con Save the Children siamo impegnati da anni sul territorio al fianco dei genitori e dei loro bambini, in rete con i servizi e le associazioni, e ogni giorno tocchiamo con mano l’importanza di una rete di cura per accompagnare ogni bambino nei suoi primi passi. È necessario salvaguardare e rafforzare questa rete, a partire dai territori più deprivati, con una strategia di lungo periodo, sapendo che quello sulla prima infanzia è l’investimento fondamentale per il presente e per il futuro del nostro Paese”.

L’Atlante verrà presentato martedì 19 novembre a Roma, presso la sede di Save the Children (Piazza San Francesco di Paola, 9), a partire dalle 10. All’evento, moderato dalla giornalista del Tg3 Giorgia Rombolà, interverranno Luca Bianchi (Svimez), Andrea Brandolini (Banca d’Italia), Angelica Carnelos (Enel Cuore Onlus), Monica Castagnetti (pedagogista), Matteo Lepore (Sindaco di Bologna, con un contributo video), Stefania Manetti (Associazione Culturale Pediatri).

“L’Italia è apprezzata nel mondo per i suoi asili nido, ma sconta la drammatica assenza di questi servizi proprio nei territori più svantaggiati – ha dichiarato Raffaela Milano, Direttrice Ricerca di Save the Children – La Legge di Bilancio 2022 ha fissato una soglia minima di copertura del servizio per ogni Comune entro il 2027. Ma ad oggi vi sono molte incertezze sul raggiungimento dell’obiettivo, soprattutto per i bambini del Sud: sia per la costruzione dei nuovi nidi, che per i costi del loro funzionamento, e non da ultimo per la formazione e la messa in servizio del personale educativo. Il PNRR rappresenta un’occasione storica per abbattere le disuguaglianze territoriali che penalizzano il presente e il futuro dei bambini nei loro primi anni di vita. Per questo motivo, chiediamo alla Commissione bicamerale infanzia di fare chiarezza sul sistema educativo zero-sei in termini di obiettivi e finanziamenti e di indicare una vera e propria road map condivisa, senza retromarce e senza lasciare nessun territorio indietro”.

Per contrastare, in ottica preventiva, la povertà educativa dei bambini e delle bambine, Save the Children, da oltre dieci anni, è impegnata nel promuovere opportunità di tipo educativo, di accompagnamento ai servizi pubblici e di supporto alla cura e alla genitorialità, attraverso i programmi Fiocchi in Ospedale, Spazio Mamme e Poli Millegiorni. Si tratta di interventi integrati, destinati a futuri e neogenitori, bambine e bambini, con l’intento di ottimizzare l’offerta dei servizi, facilitare l’accesso delle famiglie, soprattutto quelle più vulnerabili, creando legami di scambio e di fiducia reciproca nelle comunità territoriali.

Nuovo record negativo per la natalità. Nel 2023 in 340 Comuni italiani non è nato nessun bambino

Nel 2023 l’Italia ha toccato un nuovo record di denatalità, con solo 379.890 nuovi nati. Le bambine e i bambini tra 0 e 2 anni rappresentano attualmente appena il 2% della popolazione nazionale, ma lo squilibrio tra generazioni è destinato ad ampliarsi progressivamente in futuro. Secondo le previsioni ISTAT, infatti, se oggi i bambini e ragazzi fino a 18 anni di età sono il 15,3% della popolazione, nel 2050 saranno il 13,5%. Al contrario, la generazione più anziana (over 65) passerà dall’attuale 24% al 34,5% nel 2050.  Nel 2002-2003 in Italia erano presenti poco meno di 2 milioni di famiglie con almeno un bambino sotto i 3 anni (1 milione 920mila), l’8,7% del totale dei nuclei con o senza figli. A soli dieci anni di distanza, si sono ridotte a meno di 1 milione e mezzo (1 milione 450mila), ossia il 5,7% di tutte le famiglie.

Anche dal punto di vista territoriale, i dati confermano una desertificazione progressiva in chiave demografica: nel 2023 in 340 Comuni italiani (tutti con meno di 5mila abitanti) non è nato nessun bambino e in 72 Comuni non ce ne sono sotto i 3 anni[7]. È il Piemonte la regione con il maggior numero di Comuni in cui non ci sono bimbi sotto i 3 anni (34), seguita da Lombardia (10 comuni) e Abruzzo (8). La Sardegna è invece la regione con la minore incidenza di bambini da 0 a 2 anni rispetto alla popolazione totale, con l’1,49%, mentre nella Provincia di Bolzano si registra il tasso più alto, con il 2,76%.

 

Bambini sempre più poveri

Sono 1 milione 295mila i minori in povertà assoluta in Italia, con un’incidenza pari al 13,8% del totale. Sono loro i più poveri tra le generazioni, a fronte del 6,2% degli anziani over 65, del 9,4% dei 35-64enni, e dell’11,8% dei 18-34enni. L’incidenza maggiore si registra nella fascia di età compresa tra 4 e 6 anni (14,8%), mentre è del 13,4% da 0 a 3 anni.

Nel 2023, circa 200mila bambine e bambini tra 0 e 5 anni (8,5% del totale) vivevano in povertà alimentare, ovvero in famiglie che non riescono a garantire almeno un pasto proteico ogni due giorni. Una percentuale cresciuta rispetto al 7,7% del 2021. Oltre la metà risiede al Sud e nelle isole, dove la percentuale sale al 12,9%, contro il 6,7% del Centro e il 6,1% del Nord. Quasi un bambino su dieci (9,7%) della stessa fascia d’età ha sperimentato la povertà energetica, cioè ha vissuto in una casa che non era adeguatamente riscaldata in inverno (16,6% al Sud e nelle isole, 7,3% al Centro e 5,7% al Nord). Anche in questo caso l’incidenza è cresciuta rispetto al 2021, quando era all’8,6%. Queste deprivazioni nei primi anni vita costituiscono per le bambine e i bambini che le vivono fattori nocivi alla salute e al benessere che si protraggono anche nelle fasi successive della vita e divengono fattori di trasmissione della povertà alle generazioni successive.

…mentre le spese per le famiglie con bambini piccoli aumentano

Pesano sempre di più sui bilanci familiari le spese da sostenere nei primi anni di vita. Da un’analisi realizzata con il Centro Studi di Confindustria, emerge che in 4 anni, dal 2019 al 2023, una spesa indispensabile, come quella per “latte e pappe” ha subìto un aumento del 19,1%, superiore anche al forte aumento dell’indice generale dei prezzi (16,2%).  A seguire, la crescita più marcata si osserva per i costi dei nidi, pari all’11,3%, incremento legato alla riorganizzazione imposta dalla pandemia e concentrato nel settore privato: per i posti finanziati dai Comuni l’aumento risulta pari all’1,5%.

Inoltre, secondo un’elaborazione del Centro Studi Confindustria e di Save the Children sui dati diffusi da Federconsumatori, tra il 2014 e il 2024, i costi pre-nascita – visite mediche, ecografie, abbigliamento premaman, ecc. – sono cresciuti del 37%, passando dai circa 2.000 euro complessivi del 2014 a oltre 2.740 euro nel 2024. Aumenti significativi anche per le spese indispensabili nel primo anno di vita, in particolare per le famiglie con i redditi medio bassi: dal 2021 al 2024 le spese per i pannolini, ad esempio, sono cresciute dell’11% per quanto riguarda i costi minimi, ovvero per i pannolini meno cari (552 euro annui) e le spese per le creme sono aumentate del 14% per i costi minimi (50,40 euro annui).

 

L’impatto degli investimenti del Pnrr sugli asili nido in un’analisi condotta insieme a Svimez

Oggi soltanto il 30% delle bambine e dei bambini tra 0 e 2 anni trova posto all’asilo nido, con profondi divari territoriali e variazioni tra regioni che superano i 30 punti percentuali: si va infatti dal 46,5% dell’Umbria, la regione con la copertura attualmente più alta, al 13,2% della Campania e al 13,9% della Sicilia.

Insieme a Svimez, Save the Children ha realizzato un’analisi dell’impatto degli investimenti complessivi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e del nuovo Piano nidi promosso nell’aprile di quest’anno dal Ministero dell’Istruzione e del Merito. Dal report emerge che l’investimento consentirà di accrescere la copertura nazionale di oltre dieci punti percentuali, raggiungendo il 41,3%, ma i gap territoriali rimarranno piuttosto ampi. Undici regioni riusciranno a superare il target del 45%: Molise, con la migliore copertura nazionale al 66% (dall’attuale 22,5%), Umbria (57,1% dal 46,5%), Abruzzo (55,3% dal 28%), Emilia-Romagna (51,1% dal 43,1%), Valle d’Aosta (50,4% dal 43%), Marche (50,2% dal 33,5%), Sardegna (50% dal 35,2%), Toscana (49,2% dal 40,7%), Lazio (46% dal 37,9%), Liguria (45,2% dal 33,8%) e Friuli-Venezia Giulia (45,1% dal 38,3%). Sette regioni raggiungeranno livelli compresi tra il 38% e il 45% di copertura: Trentino-Alto Adige al 43,6% (dall’attuale 31,6%), Basilicata al 43,4% (dal 22,4%), Lombardia al 41,8% (dal 36%), Veneto al 41,6% (dal 33,8%), Piemonte al 40,7% (dal 32,7%), Calabria al 40,3% (dal 15,7%) e Puglia al 38,4% (dal 20,6%). Due regioni (Campania e Sicilia), nonostante l’investimento, non riusciranno a raggiungere neanche la copertura del 33%. La Campania è previsto si attesti al 29,6%, la Sicilia al 25,6%.

Secondo lo studio, una parte consistente delle risorse stanziate è stata intercettata dalle regioni del Sud, che ricevono il 41% dei finanziamenti (poco più di 1,3 miliardi) volti a rafforzare i servizi educativi per la prima infanzia, seguite da quelle del Centro e del Nord Ovest (che hanno ricevuto entrambe il 16% circa delle risorse). Il Nord Est e le Isole hanno ottenuto, rispettivamente, il 14,5% e il 12% del totale dei finanziamenti. La Campania e la Puglia sono le due regioni che hanno ricevuto l’importo più elevato (rispettivamente 509 e 337 milioni), mentre Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia e Umbria registrano gli importi più bassi (rispettivamente circa 4,25, 36,8 e 43,45 milioni). Ma prendendo in considerazione il numero di bambini nella fascia 0-2 anni presenti nelle diverse regioni, sono Molise e Abruzzo i territori che hanno ricevuto l’importo pro capite maggiore (rispettivamente oltre 10mila e oltre 6mila euro per bambino di età compresa tra 0 e 2 anni), mentre Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Valle d’Aosta, Piemonte ed Emilia-Romagna sono le regioni che hanno ricevuto l’importo pro capite minore, con meno di 2mila euro per ogni bambino nella fascia 0-2.

Nonostante gli investimenti significativi per aumentare l’offerta, dunque, non ultimo lo stanziamento ulteriore di 40,8 milioni annunciato il 4 novembre, gli squilibri territoriali permangono. Campania e Sicilia non raggiungeranno il target del 33% e in 4 province (Napoli, Palermo, Catania e Caltanissetta) non si raggiungerà neppure il 25% di copertura.

Un ulteriore aspetto riguarda il finanziamento della gestione dei nuovi posti negli asili nido, un tema fondamentale sia per i Comuni che per le famiglie. Per aiutare i Comuni a sostenere i costi di gestione annuali dei nuovi servizi da attivare – con lo scopo di garantire entro il 2027 al 33% dei bambini di frequentare il nido per conseguire il Livello Essenziale delle Prestazioni fissato dalla Legge di Bilancio 2022 – è stato previsto uno stanziamento ad hoc all’interno del Fondo di Solidarietà Comunale (FSC), con risorse crescenti dal 2022 al 2027, poi confluito nel Fondo Speciale Equità Livello dei Servizi. Il Fondo viene ripartito solo a quei Comuni che hanno un tasso di copertura uguale o inferiore al 28,8%. Nel 2024, su 7904 Comuni, ne sono stati finanziati 5.150, ma di questi ben 1.945 non hanno avviato alcun progetto PNRR per l’attivazione di nuovi posti a titolarità pubblica Per il 2025 e negli anni a seguire, per fare in modo che il Fondo Equità aiuti davvero i Comuni che hanno deciso di investire sulla prima infanzia, sarà essenziale prevedere un meccanismo di ripartizione che oltre al criterio di copertura del servizio, tenga conto dei posti attivati tramite PNRR, dando ai Comuni che assicurano servizi a titolarità pubblica priorità nell’assegnazione delle risorse per la gestione dei servizi stessi. È necessario infine prevedere fin da subito un piano per la formazione e il reclutamento degli educatori necessari al funzionamento degli asili.

Salute. L’Italia divisa

La sanità neonatale italiana è un’eccellenza, eppure anche in questo ambito emergono delle gravi disuguaglianze. Questo è vero sicuramente tra ospedali o punti nascita “grandi” (sopra i 1000 parti l’anno), che sono dotati in gran parte di reparti di neonatologia e di terapia intensiva neonatale (TIN), a differenza di quelli più piccoli, dove la presenza di un reparto di neonatologia o di TIN è più sporadica. Dopo la nascita, già dai primi mesi di un bambino, è inoltre importante la disponibilità di posti in terapia intensiva pediatrica. In Italia i posti letto nelle terapie intensive pediatriche erano solo 273 nel 2023[8], con una carenza del 44,4% rispetto agli standard europei e una distribuzione disuguale sul territorio: si va dai 128 posti letto al Nord, a fronte di un fabbisogno di 222, ai 55 del Sud e isole, dove ne servirebbero 168, ai 90 del Centro, sotto solo di 2 posti letto. In Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Umbria, Molise, Basilicata e Sardegna non c’è neppure un posto letto. Rispetto al numero di posti letto che servirebbero secondo gli standard europei, la carenza è del 67,3% al Sud, del 42,3% al Nord e del 2,2% al Centro.

I pediatri, che rappresentano un punto di riferimento indispensabile per i bambini e le famiglie, sono troppo pochi. Nel 2022, ultimo anno per il quale il Ministero della Salute fornisce un dato ufficiale[9], il carico medio potenziale per pediatra  (cioè il numero di bambini e bambine residenti nell’area in cui opera un medico pediatra) è a livello nazionale di 993 bambini – con un’ampia variabilità territoriale (da un valore di 863 bambini per pediatra in Toscana a 1.281 bambini per pediatra nella Regione Piemonte). I pediatri con più di 800 assistiti (che rappresentavano il numero massimo secondo l’Accordo Collettivo Nazionale di allora), erano il 72,8%, con punte di 86,9% in Veneto, 86,3% in Piemonte, 86,7% nelle Marche.

Anche i dati relativi alla gravidanza e ai parti mostrano differenze significative tra i territori. A livello nazionale, l’89% dei parti è avvenuto negli Istituti di cura pubblici ed equiparati[10], il 10,8% nelle case di cura private accreditate, e lo 0,15% altrove (altra struttura di assistenza, domicilio, ecc.). Tuttavia, nelle regioni in cui è rilevante la presenza di strutture private accreditate, le percentuali sono quasi invertite: ad esempio, in Campania solo il 56,4% delle donne partorisce in una struttura pubblica contro il 43,6% che si rivolge al privato accreditato.

Nel 2022 il 31% dei parti è avvenuto con taglio cesareoin calo rispetto al 36% del 2012.  Inoltre, secondo il rapporto “Certificato di assistenza al parto CeDAP” del Ministero della Salute, c’è, in particolare, un’elevata propensione all’uso del taglio cesareo nelle case di cura private accreditate, in cui la procedura viene utilizzata in circa il 44,5% dei parti contro il 29,3% registrato negli ospedali pubblici. La variabilità regionale è piuttosto alta, ma dipende anch’essa dal numero di punti nascita privati: si va dal 18,3% della Toscana ai picchi del 48,6% della Campania e del 36,5% del Lazio, regioni dove il privato è maggiormente presente.

I luoghi che contano. Città sempre più bollenti: a luglio 349mila bambini colpiti da temperature pari o superiori ai 40°. Pochi spazi verdi e biblioteche dedicate ai più piccoli

Non è facile per una bambina o un bambino muovere i primi passi nelle nostre città, in particolare nelle aree più periferiche e svantaggiate, tra aree verdi che scarseggiano mentre le temperature aumentano in maniera esponenziale a causa della crisi climatica e gli spazi pubblici disponibili e fruibili, come le biblioteche, sono pochi.

Le aree urbane sono maggiormente colpite dall’aumento delle temperature cui stiamo assistendo negli ultimi anni, e i bambini sono i più vulnerabili, per via dell’immaturità del meccanismo di termoregolazione, per la minore superficie corporea e per l’incapacità di capire quando l’organismo necessiti di acqua. A luglio di quest’anno, 349mila bambini, ovvero il 93,7% delle bambine e dei bambini tra 0 e 5 anni che vivono nei capoluoghi di regione e nelle città metropolitane italiane, sono stati esposti a temperature al suolo medie pari o superiori ai 40 gradi[11]. Un trend in forte crescita negli ultimi 5 anni, sia per il mese di luglio che di agosto. I bambini coinvolti infatti erano circa 250 mila nel luglio 2019 e meno di 200 mila in agosto 2019, poi nelle ultime tre estati, dal 2022 al 2024 si è registrato un incremento sensibile, con circa 350 mila bambini piccoli esposti nel mese di luglio e circa 325 mila nel mese di agosto.

Per quanto riguarda il verde negli oltre 100 capoluoghi di provincia, l’estensione delle aree verdi urbane copre appena il 2,9% dei territori comunali[12], pari a 32,8 m² pro capite, con marcate differenze territoriali e un primato che va al Nord-Est (62,3 m2 pro-capite), grazie alle elevate dotazioni di Trento e Bolzano. Ma il verde attrezzato, ovvero i giardinetti e i piccoli parchi con aree giochi, rappresenta solo una fetta piccolissima di tutto il verde urbano, pari al 10,9% e, anche in questo caso, con evidenti differenze territoriali: più presente nelle città metropolitane (15,4%) e meno negli altri capoluoghi di provincia (8,8%), più al Centro (15,7%) e molto meno nel Mezzogiorno (6,7%).

Se si scompone ulteriormente il dato del verde attrezzato rispetto alla popolazione 0-3 anni, un bambino che abita a Napoli, dove vivono 27.720 bambini, ha a disposizione appena 8,7m2, ancor peggio stanno a Lecce, Crotone e Trapani. Fanalino di coda è Palermo con un verde attrezzato quasi inesistente: neppure un metro quadrato (0,85) per ciascuno dei 19.955 bambini di 0-3 anni che vivono sul suo territorio. Ben diversa le dotazioni di città come L’Aquila, Ravenna o Arezzo che hanno una disponibilità di verde attrezzato per ciascun bambino 0-3 anni rispettivamente di 844, 842 e 609 m.

Un altro spazio fondamentale per la crescita di bambine e bambini in città sono le biblioteche con spazi dedicata ai più piccoli.

Nel 2022, delle 8.131 biblioteche presenti sul territorio nazionale, quasi otto su 10 (77%) sono di pubblica lettura. Di queste ultime, il 58,8% ha uno spazio dedicato ai bambini da 0 a 6 anni[13]. In cima alla classifica svetta Trento, con il 96% delle biblioteche di pubblica lettura che destina spazi attrezzati ai bambini 0-6 anni. Seguono Val d’Aosta (82,7%), Emilia-Romagna (75%), Veneto (74,9%) e Lombardia (74,1%). Complessivamente le biblioteche in tutto il Nord appaiono ben attrezzate ad accogliere i bambini piccoli, mentre al Sud l’offerta complessiva di servizi e spazi 0-6 anni è presente solo nel 28,3% delle biblioteche di pubblica lettura con Molise (17,6%), Campania (20,3%) e Calabria (24,3%) agli ultimi posti.

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