Se ne andò in settembre la divina Callas

di CINZIA DICHIARA-

Quando uscì il film documentario del regista Tom Volf su Maria Callas, qualche anno fa, accorsero in molti a vederlo al cinema Barberini di Roma, come in altre sale cinematografiche italiane. Un evento epocale, che chiamava a raccolta tutti gli estimatori di un mito della storia del canto lirico ma anche di un’artista la cui umanità vibrò con una lunga nota di fondo, altamente patetica. Perfetta interprete del ruolo di eroina da tragedia greca, come le sue origini e la sua arte postulavano, altresì come Pasolini le insegnò girando tra la Cappadocia ed Aleppo il film tratto dalla Medea di Euripide (1969), ella associò al successo strepitoso e roboante in tutto il pianeta la passionalità per la vita e per gli affetti, venendone travolta e forse distrutta, almeno secondo l’icona pubblicizzata dalla stampa tradizionale, che, in effetti, nel suo caso non è andata affatto al di là del dramma reale.
Non a caso, alla conclusione della proiezione in sala seguì un momento apparentemente di impaccio, quasi pesante, un silenzio difficile e denso di compartecipazione. Tutti erano ammutoliti. E per qualche secondo nessuno si mosse: era lo sbigottimento causato da sincera e profonda emozione. Come se quella figlia delle muse fosse mancata in quel preciso momento. E non soltanto l’artista insigne, ma una persona sofferente, tanto cara. E insostituibile.
Oggi possiamo ritenere che Il lavoro del regista inglese, Maria by Callas, restituendo finalmente la cifra più autentica al suo personaggio, rappresenti il risultato migliore per ripercorrere il suo cammino, soprattutto grazie al taglio documentaristico che lo ha reso più attendibile di altri precedenti tentativi in technicolor. Condotto con serietà ed equilibrio, affatto retorico, liberato da toni enfatici, pur nella toccante evidenziazione del successo popolare e dei trionfi pubblici del soprano greco-americano, quel film costituisce un fine ed elegante resoconto dei fatti salienti, il miglior documento in grado di avvicinare l’essere umano Callas, al di là della stupefacente e inconfondibile voce, le cui note da ‘Casta diva’ restano consegnate all’eternità di cui attestano un’espressione.
Evitando di toccare le corde più dure di quella che è stata la vita, discussa e desolata, di un’artista “divina” per antonomasia, attraverso testimonianze dell’epoca, spezzoni filmici restaurati, ricordi epistolari e interviste, soprattutto dalla sua viva voce lasciata in originale con sottotitoli in italiano, esso ci aiuta il più obiettivamente possibile a comprendere una creatura oltremodo singolare, inesorabilmente votata alla sua arte, poiché, come affermò lei stessa, vi era stata predestinata da un fato inappellabile, senza possibilità di rinuncia. Non meno, fu votata al tentativo/desiderio di realizzarsi in una unione di vita amorosa, al contrario, rimasto per lo più irrealizzato, finanche ingannato e offeso.

Fondamentalmente sola, la cantante più osannata del mondo muore negli anni ‘70, nel suo appartamento di Parigi, i riflettori spenti sulla sua esistenza, protesa tra successi planetari, amanti traditori e delusioni ricevute persino dal suo amato pubblico, come la famigerata serata all’Opera di Roma nel ’58 che inaugurò la fase di declino, compagna soltanto la deprimente contemplazione di un passato remoto dalla parabola incontrollata. Una vita spezzata, alimentata vieppiù da farmaci anziché da care presenze e appaganti rapporti umani.

Monumento alla sua arte sublime, quel film diviene una carezza alla sua sofferta esistenza.

A molti anni di distanza, dunque, al cospetto del fenomeno Callas non si desta soltanto un’ammirazione immensa, degna di una protagonista somma dell’arte lirica, ma al contempo una forte solidarietà umana, e, a fronte della severità del suo aspetto esteriore, così mediterraneo e drammatico anch’esso, si viene pervasi da malinconica dolcezza; infine predomina un silenzioso rispetto per la sua solitudine incolmabile.

E la sua intera esistenza sembra essere racchiusa in un’affermazione, dettata dalla sua stessa profonda e assoluta sensibilità: “Nessun vero artista può essere mai completamente felice.”

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