di ELISABETTA FARAGLIA-
Sono tre i volontari italiani dell’CVM, Comunità Volontari per il Mondo, rimasti ad operare nel territorio etiope per continuare un lavoro che dal 1978 non si è mai fermato. L’Ong, infatti, promuove progetti di “autosviluppo” nel Sud del Mondo dove le comunità – fortemente provate da problematiche di carattere politico, economico e ambientale – hanno imparato a curarsi.
“I nostri volontari (un coordinatore dei progetti, un ingegnere a capo di un progetto idrico e una ricercatrice la cui attività è legata all’analisi delle problematiche ambientali e quindi volta alla protezione ambientale) – ha spiegato il coordinatore delle attività in Italia del CVM, Attilio Ascani – al momento si trovano nella capitale, Addis Abeba. Le condizioni belliche hanno portato ad un ridimensionamento delle attività e a un costante monitoraggio della situazione per capire il momento opportuno nel quale farli rientrare perché non possiamo rischiare la vita delle persone”.
Ma la preoccupazione – legata al fatto che le forze ribelli del Fronte popolare di liberazione del Tigray, che puntano a rovesciare il governo guidato Abiy Ahmed Ali, sono non troppo lontani dalla capitale – si estende a tutto quel tessuto umano locale che collabora da tanti anni con il CVM. “Abbiamo un team – continua Ascani – di sessanta persone etiopi della cui incolumità ci sentiamo ugualmente responsabili. Persone che abbiamo formato, assunto e con le quali collaboriamo ogni giorno. Il nostro lavoro, infatti, è profondamente radicato nel territorio grazie alla loro preziosa opera fatta di mediazione e pratica. In questo momento stanno operando nelle aree adiacenti al fiume Omo, nella Regione del Sud, dove al momento non ci sono i problemi che, invece, stanno affliggendo le attività nella Regione Amhara, nella parte nord-occidentale del Paese. I Tigrini, infatti, dopo aver ripreso il controllo di quasi tutta la regione del Tigray, si sono spinti nelle regioni di Amhara e Afar. Un quadro catastrofico che ha portato altri due mln di persone a lasciare le loro case e tutti i funzionari pubblici a sospendere le attività ordinarie per dedicarsi allo sforzo bellico. Aspetto, quest’ultimo, che ha bloccato le nostre attività che si svolgono a stretto contatto con le istituzioni locali”.
Ma l’Etiopia, così come tutto il continente africano, non è solo guerra. Ci sono uomini e donne che non si sono arresi a condizioni ostili e di sofferenza – prevalentemente legate alla povertà e ai conflitti di un territorio abitato da popolazioni e culture molto diverse tra loro – e che si sono aperti ad una collaborazione tesa alla tutela dei più fragili. Sebbene, sia in un territorio frammentato perché composto da numerosi gruppi etnici, lo stesso Governo, con i suoi tecnici e amministratori locali, ha sempre collaborato con il CVM.
“Il nostro lavoro – spiega Ascani – si relaziona soprattutto con i due livelli amministrativi più bassi della società: il Woreda, che è l’equivalente delle nostre provincie, e il Kebele, equivalente dei nostri comuni”. Dunque un lavoro costante e certosino svolto per e con le diverse comunità e teso alla tutela ambientale e sociale. In particolare sono tre i settori di cui si occupano: acqua, donne e bambini.
“Sul discorso acqua, negli ultimi dieci anni, c’è stato un forte impegno da parte del governo e i risultati si sono visti: più della metà della popolazione ha accesso ad acqua pulita. Anche noi di CVM ogni anno siamo riusciti a dare acqua pulita a una media di 30 – 50mila persone. Ma, a fronte di un Paese che conta 110 milioni di persone ce ne sono circa 40 mln che l’acqua la prendono ancora dai fiumi, c’è ancora molto da fare”, sottolinea il coordinatore delle attività in Italia del Cvm. L’Etiopia, con i suoi dodici bacini fluviali, non è carente di acqua ma di sistemi di immagazzinato e di capacità tecniche per renderla potabile. A questo, si aggiungono criticità legate al cambiamento climatico (tra tutti la siccità) e al trattamento delle acque contaminate. Il Cvm interviene realizzando: pozzi, acquedotti, sistemi di raccolta dell’acqua piovana, impianti di irrigazione, attività di formazione per la riforestazione. Strettamente connessa all’acqua, è l’attività di educazione all’igiene soprattutto attraverso la realizzazione di latrine a norma OMS. E tutto questo significa vita, significa prendere coscienza delle proprie risorse, significa trasformarle per un futuro migliore, nel quale poter rimanere nella propria terra senza dover emigrare.
“Sul fronte femminile – spiega Ascani – la nostra attività si concentra soprattutto sulle donne, anche minorenni, che fanno il lavoro domestico. Non c’è una statistica ufficiale, ma si stima che circa cinque milioni di donne facciano questo tipo di lavoro, che tuttavia non è riconosciuto tale e quindi scevro da ogni forma di tutela”. Anche in questo caso il far rete, con la formazione di associazioni collegate anche ai sindacati, è fondamentale per diffondere una cultura fatta di diritti e “strade sicure”. Una battaglia che fa appello anche ai Ministri dello stato africano affinché venga rivista la legislazione attraverso l’adozione della convenzione 189 dell’Ufficio Internazionale del Lavoro (ILO) che prevede la regolamentazione del lavoro domestico. “Su questo versante c’è molto da fare – sottolinea Ascani -, anche per quella cospicua fetta di donne che emigrano nel Medio Oriente. Malgrado l’esistenza di accordi bilaterali con 4 Paesi (Arabia Saudita, Quatar, Emirati Arabi Uniti e Kuwait) , è estremamente difficile verificare cosa accade e, spesso, vanno incontro a soprusi e violenza. Noi lavoriamo con chi parte ma anche con chi rientra come vittima di abusi: sono tante”.
Ma è soprattutto con i bambini di strada che le comunità dimostrano la loro solidarietà. I bambini che non hanno una famiglia e che vivono giorno e notte sulla strada, vengono “recuperati” attraverso delle attività che coinvolgono l’intera comunità che se ne assume la responsabilità attraverso una specie di affido familiare (almeno per il pernottamento). In tal modo non servono orfanotrofi o altri tipi di strutture che porterebbero i giovani a un distacco dal tessuto sociale. “La nostra Organizzazione li sostiene economicamente per farli studiare al fine di agevolare il loro inserimento nel mondo ma sempre nell’ottica comunitaria”. Tra le iniziative del CVM, quella che vede la collaborazione con un’associazione di ragazzi sieropositivi (malati di Aids) ai quali assicurare non solo casa e istruzione ma anche tutte quelle cure mediche necessarie continuativamente per poter camminare verso il futuro.
In questo momento parlare di futuro è difficile: c’è una guerra che potrebbe coinvolgere anche le regioni fino ad oggi rimaste fuori; circa 5 mln di persone che vivono in Tigray non ricevono gli aiuti umanitari che, per ragioni di sicurezza, non possono attraversare le aree di combattimento; costante è l’aumento del numero di persone a rischio vita anche per denutrizione e, “ultimo ma non ultimo”, continua il problema Covid di cui non si possono avere dati certi perché si viaggia sui 7-10mila tamponi al giorno a fronte di 110 mln di abitanti: l’unica certezza è che c’è.
Malgrado tutto, queste comunità continuano ad aiutarsi nell’attesa di un ritorno alla propria piccola e umana “normalità”.
“Ci sono continui e costanti esempi di solidarietà interetnica. Nonostante le diversità gli etiopi saprebbero convivere bene insieme. Ad esempio un nostro collega etiope di etnia Amhara si trova ad ospitare in casa 11 familiari scappati dai combattimenti e per ospitarli e nutrirli tutti è aiutato dalla sua vicina di casa tigrina. Etiopia è anche questo” conclude Attilio Ascani.