Soriano, il Comitato 10 Febbraio ospite dell’Istituto Comprensivo “Ernesto Monaci”

SORIANO NEL CIMINO ( Viterbo) – Questa mattina Maurizio Federici e Silvano Olmi, esponenti del Comitato 10 Febbraio di Viterbo, hanno tenuto un incontro dibattito con gli alunni dell’Istituto Comprensivo “Ernesto Monaci” di Soriano nel Cimino (VT).

La manifestazione è stata possibile grazie alla dirigente scolastica Emilia Conti, la sua vice Cinzia Mechelli e la professoressa Teresa Stasi. Con l’ausilio di diapositive e filmati, i ragazzi hanno potuto approfondire la storia del confine orientale d’Italia, la tragedia delle foibe e l’esodo di 350 mila italiani. La classe 3A ha realizzato una bella ricerca, realizzando un cartellone che è stato donato al Comitato 10 Febbraio di Viterbo.

Gli alunni hanno avuto il privilegio di ascoltare la testimonianza di Ferruccio Giurini, nato a Zara ma residente a Viterbo, 88 anni, che ha raccontato ai ragazzi come scappò dalla sua città natale ormai occupata dagli jugoslavi.

“Nei terribili bombardamenti anglo americani della mia città ho perso la mamma, un fratello e una sorella – ha raccontato Giurini, interrotto spesso dagli applausi – a Zara non c’erano le foibe, i comunisti titini gettavano in mare gli italiani dopo aver legato ai loro piedi dei massi. In questo clima, il 26 agosto 1949, decidemmo con altri quattro amici di fuggire via mare a bordo di una barchetta. Io ero il più giovane, avevo 17 anni, ma ero molto forte e praticavo il canottaggio. Remavamo a turno, quattro vogavano e uno si riposava. Dopo due giorni in Adriatico, incrociammo una nave inglese diretta a Trieste. Il capitano, visto che scappavamo dalla Jugoslavia, non voleva fastidi: ci fornì di acqua potabile e ci abbandonò al nostro destino. Le condizioni meteorologiche peggiorarono e noi invece di raggiungere Ancona decidemmo di puntare la barca verso Fano, per avere il vento a favore. Eravamo stremati dalla fatica e con gli abiti stracciati. Giunti in prossimità della costa, fummo salvati da un peschereccio. Le autorità italiane ci misero in carcere e fummo sottoposti a continui interrogatori. Poi ci trasferirono nell’ex campo di prigionia “Le Fraschette” di Alatri, trasformato in un Centro Raccolta per i Profughi. Mi chiamavano con il numero di matricola e non per nome. I miei compagni li liberarono subito: due andarono in Canada e due emigrarono in Australia. Io no perché ero minorenne. Siccome avevo due sorelle in Italia, fui liberato dopo alcuni mesi perché un mio cognato garantì per me. Sono stato alle dipendenze di una ditta di Roma che lavorava con l’INPS e l’ultimo incarico è stato a Viterbo, città dove attualmente risiedo. Quando mi chiesero se volevo rimanere italiano o optare per la cittadinanza jugoslava non ebbi esitazioni – ha concluso Ferruccio Giurini – ero italiano e decisi di rimanere italiano per tutta la vita.”

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