Al rilevamento del 31 agosto scorso, pubblicato sul sito del ministero della Giustizia, erano 61.758 le persone detenute nelle carceri italiane, circa quindicimila in più rispetto ai posti effettivamente disponibili. Non c’erano così tanti detenuti in carcere in Italia da quando la Corte europea dei diritti umani, nel 2013, ci condannò per trattamenti inumani e degradanti causati dal sovraffollamento degli istituti di pena.
Nel frattempo, dall’inizio dell’anno settanta persone si sono tolte la vita in carcere, alcune non sopportando la restrizione in quelle condizioni, altre la prospettiva di lunghe pene, altre ancora il rimorso nei confronti delle vittime o dei propri stessi familiari (condannati con loro a una vita di sofferenze); altri – infine – perché terrorizzati dalla prossima uscita, dalla incertezza per un futuro a cui il carcere non ha dato quello che la Costituzione richiede, una prospettiva di reinserimento nell’autonomia e nella legalità.
Certo, il sovraffollamento e l’elevato tasso di suicidi in carcere (ma mai così alto come quest’anno!) sono malattie endemiche del nostro sistema penitenziario, che richiedono scelte strategiche su cui investire e che finora non sono mai state fatte con convinzione e determinazione: vogliamo che il carcere sia l’extrema ratio della sanzione penale, riservato agli autori dei reati più gravi contro la persona o al soldo delle organizzazioni criminali, oppure ci sta bene quello che di fatto è, un ospizio dei poveri che vivono di espedienti e disturbano la quiete o il decoro pubblico? Nel primo caso strutture e personale penitenziario sono più che sufficienti: in carcere non ci starebbero più di venti-trentamila persone, che potrebbero essere prese adeguatamente in carico e accompagnati nel percorso rieducativo previsto dalla Costituzione. Bisognerebbe però investire in strutture e servizi pubblici, in progetti di sostegno sociale e di inserimento lavorativo per le persone, i quartieri e le aree territoriali svantaggiate. Nel secondo caso, quello dell’ospizio dei poveri, non basteranno gli otto padiglioni programmati con i fondi PNRR, né le caserme, le comunità o i rimpatri favoleggiati dal Governo, ma bisognerebbe raddoppiare il personale penitenziario, sanitario e scolastico impegnato nelle carceri, in un piano non meno che decennale. Per chi scrive, queste sono due lucide prospettive alternative, una di destra (il carcere ospizio dei poveri), l’altra di sinistra (l’extrema ratio, il recupero e il reinserimento sul territorio della marginalità sociale), e spero che un giorno se ne possa discutere seriamente. Intanto però si deve agire nell’emergenza di un sovraffollamento intollerabile e di una sequenza di suicidi impressionante.
Il Governo fin qui ha fatto finta di non vedere o di non capire, alimentando tensioni nelle carceri con una politica di contrapposizione e di chiusura. Esempi ne sono l’inutile decreto approvato ai primi di agosto e il disegno di legge all’esame della Camera, in cui al florilegio dei reati contro le manifestazioni di opposizione o le occupazioni di immobili, sono state aggiunte la revisione in peggio del codice penale di epoca fascista, che stabiliva il rinvio obbligatorio della esecuzione della pena per le donne incinte e la madri di neonati con meno di un anno di età, e il nuovo reato di rivolta carceraria, che potrà essere commesso anche da tre detenuti che in maniera assolutamente pacifica si rifiutino di rientrare dal cortile dell’aria per poter parlare con il direttore, il magistrato di sorveglianza o il garante di qualcosa che non funziona in carcere.
In un momento di resipiscenza, non appena approvato l’inutile decreto, il Ministro Nordio ha incontrato i garanti territoriali e ha annunciato nuovi provvedimenti, che avrebbe illustrato direttamente al Presidente della Repubblica, per dare soluzione al problema del sovraffollamento. Intanto però alla Camera si vota quel disegno di legge esplicitamente rivolto all’aumento della popolazione detenuta attraverso la criminalizzazione di manifestazioni politiche, condizioni di disagio e legittime proteste.
In questo modo, diciamolo chiaro, non se ne viene a capo: le condizioni di vita e di lavoro in carcere saranno sempre peggiori e con il sovraffollamento aumenteranno proteste e atti estremi di autolesionismo. E’ ora che il Governo ne prenda atto e si apra al confronto con le opposizioni anche per l’adozione di provvedimenti straordinari di clemenza previsti dalla Costituzione. Nel frattempo sta alla responsabilità e alla intelligenza degli operatori della giustizia, del penitenziario e del territorio usare tutti gli strumenti a disposizione per allentare la tensione nelle carceri e facilitare l’accesso alle alternative di chi potrebbe legittimamente goderne.
Stefano Anastasia