Tasso, poeta incompreso

Torquato Tasso appare come un uomo angosciato perché vittima degli avvenimenti; le sue ossessioni sono la proiezione di una vera e propria malattia interiore ma, contrariamente a quanto avveniva nel caso dell’accidia di Petrarca, egli tenta di opporsi, seppur invano, in modo radicale ad una realtà storica che gli è ostile. L’Italia del Tasso è quella della seconda metà del Cinquecento, completamente diversa da quella in cui vive Ariosto poiché quasi tutti gli Stati italiani perdono la loro indipendenza e sono dominati dal Regno di Spagna. La cultura subisce l’influenza del Concilio di Trento che, creando un clima di intolleranza verso tutto ciò che non è in linea con una lettura anacronistica del dogma cristiano, finisce col limitare la libertà mitopoietica degli intellettuali sottoponendo perciò a censura le loro opere; in particolare i romanzi cavallereschi sono spesso condannati dalla Chiesa perché gravidi di elementi pagani che allontanano dal cammino verso la fede. Come se non bastasse Tasso appare come uno sradicato di terra in terra a causa dei continui spostamenti del padre che è costretto a seguire poiché viene presto allontanato dalla madre. Se volessimo con questa premessa definire l’identità del Tasso potremmo senz’altro affermare che la visione antropocentrica dell’uomo rinascimentale rintracciabile nella fissazione delle proprie radici in un determinato contesto geografico, riflesso questo dei propri sentimenti connessi con lo spazio materno che ne determina il futuro sviluppo, risulta stravolta. Non è un caso che Tasso cerchi poi una soluzione a questa profonda instabilità emotiva attraverso la ricerca di un modello di fissazione dei contenuti poetici in modo da salvaguardare la verità storico-oggettiva mettendola però in relazione alle più intime passioni degli uomini. Nascono così i Discorsi dell’arte poetica e più tardi i Discorsi del poema eroico in cui il poeta crea un equilibrio tra regole aristoteliche e libera immaginazione creativa. L’ansia che deriva al Tasso dalle numerose critiche rivolte dai revisori romani al Goffredo, apparso nel 1581 con il titolo di Gerusalemme Liberata, generano in lui un profondo senso di sfiducia nei confronti della corte ferrarese di Alfonso II d’Este poiché si vede da questa incompreso e non apprezzato. Almeno questo è quanto sostiene il poeta che molto probabilmente vede nelle persone della corte, ignare delle cure meticolose che Tasso mette nella scrittura delle proprie opere, proiezioni delle sue paure più intime dovute al regresso infantile. Ciò contribuirà a rendere sempre più precario il controllo che Tasso esercita sulle proprie emozioni conducendo il poeta alla perdita del rapporto con la realtà e alla conseguente reclusione nell’ospedale di Sant’Anna. Qui in lui si alterneranno momenti di lucidità a momenti di follia, come ci testimonia il suo epistolario, espressioni questi dell’impossibilità del poeta di comunicare in una società che non da ancora spazio alle pulsioni più intime. Non è un caso che nella Gerusalemme Liberata col parlar disgiunto Tasso tenti, seppur a stento, di edificare quella primigenia unità di se stesso che gli è sempre mancata.

Biagio Lauritano

Print Friendly, PDF & Email
Condividi con:
LEGGI TUTTE LE NOTIZIE