Tradizionalismo cattolico

di FRANCESCO MATTIOLI-

Se qualcuno si sorprende dell’esistenza di una opposizione conservatrice forte all’interno della Chiesa cattolica non conosce la Chiesa cattolica e, soprattutto, il ruolo che a tutt’oggi essa riveste nella società.
Una istituzione bimillenaria non può non avere allo stesso tempo due fonti di energia che la sostengono: quella conservativa, che le permette di sfidare il tempo, e quella innovativa, che le permette di adattarsi – e qualche volta porsi alla testa – del cambiamento. Così, la Chiesa cattolica può sembrare contraddittoria e inaffidabile: senza raccontare duemila anni di andirivieni teologico, ideologico e politico-sociale basterebbe ricordare quella Chiesa che appoggiava la Resistenza e quella che ancora filtrava con i poteri nazifascisti; quella Chiesa francescana che si univa alla richiesta di riscatto della povera gente e quella che sedeva al tavolo dei poteri forti, fino a condurre le sue battaglie in guerra, nei corridoi della finanza e persino nelle alcove; quella Chiesa che espresse il Concilio Vaticano II e quella che tentava disperatamente di mantenere una visione gerarchica e tradizionale del Cristianesimo storico. Niente di nuovo sotto il sole, se lo stesso messaggio evangelico, nel giro dei primi tre o quattro secoli della nostra era, già era stato trasformato da provocazione dei cuori (“Non sono venuto a portare la pace sulla Terra, ma la divisione”: Mt 10,34, Lc 12, 51 …”) a strumento di ordine e di governo politico (a partire da Costantino.
A partire da Giovanni XXIII e via via fino a Francesco, gli ultimi pontefici hanno aperto, con moderata prudenza ma anche con determinazione, nuove porte, nuovi itinerari, con lo scopo evidente di entrare con autorevole saggezza nel mainstream del cambiamento, senza per questo stravolgere il messaggio evangelico. A ben vedere, si tratta di una apertura al presente – e al futuro – che significa tornare al passato, ma al passato gesuano, ancor più che paolino. Il senso che oggi viene dato a concetti come libertà, uguaglianza, comprensione, rispetto, amore, dignità umana sono quelli che si ritrovano innanzitutto nei quattro vangeli e nei sinottici in particolare, quelli scritti quasi in contemporanea con la missione, se non di Gesù, certo dei suoi apostoli. Siamo abituati a fondare la nostra idea di democrazia sui tre principi della Rivoluzione Francese, libertè, egalitè, fraternitè, ma a ben vedere sono già scritti, anzi scolpiti, nei vangeli, ed esattamente con le stesse motivazioni: il riscatto della dignità umana.
E’ evidente che i passi di papa Bergoglio, che rivaluta la Natura, che vuole bandire gli orpelli, che entra nel recinto delle pecore a condividerne l’odore, che apre ai rapporti d’amore sostantivi, più che di forma, che dice “Chi sono io per…”, sono da considerare rivoluzionari rispetto ad appena cinquant’anni fa e mettono in allarme i sanfedisti, i misoneisti, gli amanti dell’oro e del privilegio gerarchico.
Certo, i passi da compiere sono ancora molti, perché – come ha scritto il grande teologo Hans Küng – nel Vangelo bisogna distinguere l’ampia e universale parola di Dio da quella cauta e consuetudinaria degli evangelisti che, vivendo nella loro epoca, dovevano farsi comprendere e accettare da una società e da una cultura fortemente stratificate come quelle di duemila anni fa.
La contestazione dei tradizionalisti verso papa Francesco non alligna solo in certi corridoi vaticani, non si è espressa solo in Europa tra i lefebveriani, che hanno criticato aspramente il mondo della Chiesa postconciliare. Essa emerge anche negli Stati Uniti, dove i cattolici sono in perenne competizione politica con i protestanti, i quali, rispetto a loro, sono inevitabilmente più liberi di aprirsi al cambiamento (pur al netto di numerosi nuclei tradizionalisti ancor più rigidi e retrogradi di quelli cattolici). Così, nel tentativo di rafforzare la propria identità e le proprie differenze, il cattolicesimo americano tende ad essere più conservatore e, dall’alto del potere contrattuale che gli Stati Uniti esercitano nel mondo a vari ed eterogenei livelli, pensa di poter condizionare un po’ tutta la Chiesa cattolica. Non è un caso che un Trump trovi molti proseliti tra i cattolici americani. D’altronde i faccendieri sono stati una costante e scostante presenza nelle politiche economico-finanziarie vaticane, come si è visto fino ai giorni nostri.
Allora forse è un bene che papa Francesco, oltre ad assumere un nome che è un programma di innovazione e di etica cristiana, provenga dall’America Latina, che è stata un’ arena storica di scontro fra tradizione e cambiamento, fra una Chiesa popolare a fianco dei poveri e degli esclusi per il loro riscatto politico e sociale e una Chiesa fiancheggiatrice della ricchezza e del privilegio delle elites economiche. D’altronde non è certo un caso che i tradizionalisti cattolici siano per lo più filoputiniani, come del resto lo è la Chiesa Ortodossa russa, abituata storicamente a spadroneggiare dal Don agli Urali e dalla Siberia al Mar Nero.
Spiace che i conservatori cattolici abbiano trovato stanza proprio a Viterbo, città che ha estremo bisogno di una chiesa innovativa, aperta, coraggiosa e protagonista del cambiamento. Ma questo è il pregio della democrazia: che è aperta a tutti, che interpella tutti, che spinge tutti a partecipare, perché poi la verità vince sul campo. E gli avversari si battono con il pensiero, con le opere, con le vere parole del messaggio evangelico, non filtrato da qualche esegeta di comodo, e soprattutto con il coraggio di pensare, di crescere e di cambiare. Allora, la migliore arma contro gli spettri che rivendicano il passato potrà anche diventare l’oblìo.

 

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