Tradizione e continuità, riflessioni sul Concerto di Capodanno a Vienna

di CINZIA DICHIARA-

Chi potrebbe mai dire di non aver ascoltato almeno una volta la Radetzky- Marsch op. 228 di Johann Strauss padre appesantita da quell’attesissimo battimano del pubblico, ritmato alla tedesca in mondovisione dal Musikverein di Vienna? A riflettori spenti, e a diversi giorni dall’apertura di questo nuovo anno celebrata con il programma musicale più famoso al mondo, tiriamo le somme del Concerto di Capodanno e dei cambiamenti della società, dell’estetica, dei bisogni culturali.
Das Neujahrskonzert è una tradizione che si rinnova dal 1939, rappresentando oggi un rito planetario consacrato nel prestigio di un’orchestra dal nome altisonante, quella dei Wiener Philarmoniker, alla cui testa si sono avvicendati direttori mitici, una schiera di eletti tra Karajan, Kleiber, Krauss, Boskonski, Prêtre, Mehta, ecc.
Il rito ha luogo puntualmente nella storica sala addobbata da corbeille variegatissime e opulente, con gli ori zecchini traslucenti, in perfetto stile impero asburgico, del quale essa è espressione atta a celebrare non soltanto la grandeur del potere ma l’altezza della musica, che lo si sa, nel contesto mitteleuropeo vanta un posto d’onore. Considerata tra le più eleganti al mondo, epppure non manca chi vorrebbe reputarla alla stregua di una bomboniera da kitsch manierato tardottocentesco, la Goldneer Saal risulta non meno gradevole di altri begli edifici coevi deputati alla fruizione della musica. Progettata e inaugurata nel 1870 dall’architetto Theophil von Hansen, con la sua facciata neoclassica di impeccabile proporzione, si presenta armoniosa nell’alternanza delle lesene a semicolonna, e suggestiva per l’imponenza architettonica e la plasticità decorativa dell’altorilievo del timpano, profondo ossequio alla classicità. Il suo tributo all’800 è invece ampiamente presente nel soffitto a cassettoni dorati e negli elementi strutturali interni, con tanto di cariatidi anch’esse sfavillanti d’oro, posti a guarnire quell’augusto rettangolo di tempio musicale che in televisione appare sempre grande, molto più che in realtà non sia.
Difficile pensare a un altro appuntamento musicale, di musica classica obviously, tanto conosciuto e seguìto nel globo terraqueo. Da qualche tempo, tuttavia, sorge immancabilmente qualche polemica alimentata altresì dal clima di cancel culture, circa il valore che continua a ricoprire un simile rito, ormai scaduto nella declinazione commerciale del pacchetto turistico nella capitale austriaca. Legata al passato glorioso di Vienna, la rievocazione musicale straussiana del fasto della corte asburgica pare rilanciare valori attualmente considerati superati, unitamente a disvalori quali ad esempio lo sconfinamento del dominio austriaco sul regno del Lombardo- Veneto. Non a tutti consta, ad esempio, che la famosa marcia militare che da sempre ne connota lo svolgimento fu composta per onorare il generale che ripristinò il potere su Milano, soffocando le velleità libertarie delle Cinque Giornate. Con l’aggravante che l’istituzione stessa di questa kermesse a suon di valzer pare aver avuto luogo all’indomani dell’Anschluß, l’annessione dell’Austria alla Germania, per celebrare il potere nazista e finanziarlo, e ciò ne renderebbe oltremodo negativa l’origine. Di sicuro, riguardo a vicende che ci provengono dal passato, sarebbe opportuno conservare la lezione morale, e progredire promuovendo la pace affinché lo spauracchio delle terribili nefandezze trascorse non possa tornare ad affacciarsi sui cieli del futuro, cosa che invece l’umanità sembra spesso dimenticare, piuttosto distratta e forse uguale a sé stessa. Quindi, procedere guardando avanti e coltivare la bellezza giunta fino a noi.
Far rivivere oggi l’eredità musicale di una civiltà, non solo dei ballabili imperiali ma oltremodo raffinata come fu quella viennese, e appunto proseguire sul solco della sua tradizione, possiede lo slancio di un grande gesto di fratellanza universale, di unione spirituale, di abbattimento di qualsiasi barriera, quale abbraccio tra simili, diversi, eguali senza distinzione alcuna. L’unione dello spirito umano al di sopra di ogni distanza o differenza.
Ciò che l’incanto straussiano continua a donarci nel presente, preserva quel filo rosso che garantisce una continuità con la nostra vita attuale, restando sempre un grande classico proiettato nel futuro che ci segue passo, passo. In fondo si tratta di un mondo che non c’è più. Ma lo rimpiangiamo e lo amiamo, continuando ad amarlo. C’est tout. Diversamente, chissà quali e quante altre considerazioni potrebbero spogliare della sua allure elegante e fastosa questo appuntamento irrinunciabile per milioni di abitanti del pianeta. Musica leggiadra, amata dai signori in smoking e dalle signore ingioiellate della buona società; musica da ballo, dunque per questo motivo massimamente popolare. Pensiamo al movimento vivace della Polka schnell e alla ‘semplicità’ del Walzer, forma coreutica quest’ultima, inizialmente caricata di simbolismo antiaristocratico in contrasto con il Minuetto, suo contraltare in quanto epitome dell’eleganza settecentesca. Ben presto, però, la forma di ritmo ternario preferita nei ricevimenti divenne eclatante appannaggio delle corti regali europee, con orchestre in gran pompa preposte alla sua declinazione più festosa.
Si sente spesso dire che si tratta di un evento ripetitivo e noioso. Qualche critica avanza dubbi sulla sua qualità recente, sia in ordine alla prestazione degli orchestrali, sia dei direttori contemporanei. La loro notorietà sembra non essere sufficiente a competere con l’ombra dei giganti che hanno scolpito i loro nomi negli annali della Gesellschaft der Musikfreunde a colpi, più che di bacchetta, di mimica, di sguardi, di gesti e piroette, in un alchemico vis à vis con i professori d’orchestra. Oppure niente, fermi sul podio, poiché, lo si sa, la strabiliante compagine orchestrale viennese è ben in grado di suonare anche da sola.
Infine, dietro a simili considerazioni ci si potrebbe interrogare se abbia senso continuare in quattro gatti ormai, a tenere vivo l’intero patrimonio di musica colta, della quale certamente il repertorio straussiano di capodanno è soltanto una graziosa appendice, comunque utile ad avvicinare moltissimi a un mondo che per svariate cause non frequentano abitualmente, un mondo che ormai, ben lontano dal pop dilagante, accomuna telamoni dalle teste incanutite nella nicchia delle sale da concerto, sotto il leitmotiv della lamentela generale che la musica colta sia poco seguita, poco valorizzata, poco rispettata.
Lunga vita, dunque, al Concerto di Capodanno, che ci accompagni spumeggiante e vivace, ma anche nostalgicamente lieve, nel giorno del primo dell’anno, con la sua capacità più unica che rara, di unire davvero le genti a distanza, ricordandoci peraltro l’unione familiare, i nostri padri, i nostri nonni, e, affatto prosaicamente, anche la tavola, la riunione intorno alle pietanze fumanti, lo stare insieme e sentirsi parte di un tutto, il ricordo dell’infanzia e la commozione, sentimento che certo nichilismo contemporaneo tenderebbe a svellere come pianta da estirpare in una società che non pare essere, oggi, più felice.
E ancora, il concerto straussiano costituisce un patrimonio culturale che vale ben al di là del prodotto di mercato attorno al quale la capitale austriaca ha concentrato un grande comparto turistico. Forse plauderebbe alla sua preservazione anche un tradizionalista/innovatore come Hugo von Hofmannsthal, amico e collaboratore di Richard Strauss per i libretti delle opere, patriota che mai si riprese dal crollo della casa d’Austria, eppure attivo nel gruppo d’avanguardia della Jung-Wien prima di rivolgere il suo Discorso alla Nazione ponendo all’attenzione la “rivoluzione conservatrice”. Ma non occorre essere intrisi di malinconia e di sacro amore per classicismo e romanticismo tedeschi com’era il poeta viennese, e neanche muovere dall’amore per l’antichità classica che questi abbracciò attraverso la tragedia greca, basti pensare a Elektra (1903), Ödipous und die Sphinx (1906) e Ariadne auf Naxos (1912), per accertare che un repertorio sia emblema di un mondo passato e tramontato. E non è forse in ciò il suo più potente fascino?
Certamente questo concerto oggi è per tutti, non solo per il pubblico esperto di musica colta e di fan dell’orecchio assoluto. Cosicché pare a taluni che sia frequentato da un pubblico disattento e inconsapevole mentre il parterre, non più chiccoso come un tempo, pare caratterizzato da qualche nota di folclore. La folta pletora di turisti spesso non conosce ciò a cui va ad assistere, è vero, ma è comunque desiderosa ed entusiasta di partecipare a qualcosa di bello e di molto raro.
Voler giudicare da esegeti e da filologi un evento simile, riducendolo al pari di una liturgia stucchevole e per giunta commerciale, ne adombrerebbe la bellezza. Quegli stilemi, rituali consacrati, come il ‘tre quarti’ del valzer con il terzo battito aspettato, cliché di eleganza sopraffina, oppure quei tipici ‘ritardando’ consegnatici dalla prassi di tradizione, e addirittura quegli accorgimenti esecutivi ammanniti sempre con garbata finesse per assicurare effetti di trascinante simpatia o di acume ironico, tutt’altro che standardizzati o leziosi, mantengono inalterata la loro leggiadria e attrattiva.
In definitiva, il Concerto di Capodanno rappresenta un momento alto della tradizione musicale, un evento fuori dal comune, irripetibile altrove, tanto che i tentativi di imitarlo non hanno mai raggiunto lo stesso prestigio e splendore. Le sue musiche sono eseguite da un’orchestra forse la più autorevole al mondo, e hanno un grande valore per gli esecutori, i quali sono universalmente riconosciuti quali depositari di queste partiture e, con esse, di un fondamentale patrimonio della storia della musica.
Difendere un certo modo tutto viennese di sentire e di interpretare la vita, coltivare una leggera nostalgia di un’epoca in cui le signore danzavano con uomini distinti e impettiti, dal portamento elegante e dalle maniere forse sussiegose ma rispettose e confacenti, è espressione di una cultura finissima e lontana da certa grossolanità, anche di gesti e di approccio, sdoganata come libertà di espressione. A ogni tempo e a ogni luogo la sua musica: agli amanti di Vienna, lo Strauss di Capodanno. E, dunque, ‘Prosit Neuhjar’!

 

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