di DANIELA PROIETTI-
FALERIA (Viterbo) – La radura doveva essere di un verde brillante durante le primavere di quasi otto secoli fa. L’impressione che avevano le dame Anguillara quando si affacciavano dalle finestre del possente castello, di cui oggi resta soltanto un edificio spoglio, doveva esser questa.
Aveva da poco avuto termine quello che viene ricordato dai climatologi come il “periodo caldo medioevale”, un’era in cui le terre bagnate dal nord dell’Atlantico, e con esse gran parte dell’Europa, furono interessate da temperature inusualmente elevate, tanto da permettere colture d’ulivo in zone in cui di solito la pianta non attecchisce.
Fu anche il periodo della colonizzazione della Groenlandia da parte dei Vichinghi, che approfittarono del ritirarsi dei ghiacci per conquistare la terra che, forse, permise loro di arrivare in quelli che sono oggi gli Stati Uniti prima di Colombo.
Passato l’optimum climatico medievale, la vegetazione tornò al solito splendore. Il colore della vita riempiva, quindi, il territorio in cui sorgeva il borgo di Stabla.
Questo era il nome con cui era conosciuto questo paesino di poco più di 2110 abitanti che sorge prossimo alla provincia di Roma e che vide cambiare la sua denominazione in Faleria, soltanto in tempi cosiddetti recenti, ossia nel 1873.
Borgo Umberto I
Quando siamo giunti nella cittadina, era pomeriggio inoltrato. Il cielo era di nuovo grigio, nonostante il sole ci avesse degnati della sua grazia per tutto il giorno. In giro non c’era molta gente, e abbiamo faticato un po’ per capire dove fosse il centro.
Abbiamo parcheggiato la nostra automobile nei pressi del Palazzo del Municipio, a cui non fa da cornice la solita piazza, ma un incrocio piuttosto complicato.
L’edificio, che sorge in Piazza Garibaldi, venne costruito agli inizi del XX secolo, e per realizzarlo fu necessario demolire parte della cinta muraria eretta in epoca rinascimentale e le porte che ne segnavano l’accesso. Questa scelta fu dovuta anche allo sviluppo del paese nuovo al di fuori di quelle stesse mura.
Palazzo Comunale
C’è una vecchia cartolina del paese che mi ha colpita. L’ho scovata sul sito web di un giornale online. Ritrae la piazza in cui diverse persone sono intente a chiacchierare. Alcune di esse vestono l’abito scuro, tipico di chi godeva di una posizione sociale rilevante, altre paiono abbigliate da lavoro, altre ancora, donne, indossano le lunghe gonne tipiche dei primi del ‘900. Il palazzo, in primo piano, si mostra nella propria miglior veste. Il grande orologio segna le dieci e quaranta del mattino, e alcuni uomini sono affacciati al balconcino di rappresentanza.
Nel grande spiazzo, oltre alla varietà umana, sembrano razzolare alcune galline e riposare un paio di cani.
Agreste e urbano, uniti. Un mondo che, a noi occidentali, è sfuggito da tempo.
Così, tenendo a mente quel vecchio universo color seppia, ci siamo introdotti in Via Borgo Umberto I che, da Piazza Garibaldi, si diparte verso l’estremità di quello sperone tufaceo su cui affonda le proprie radici il paese, e che funge da piedistallo per l’ulteriore splendore laziale che abbiamo avuto modo di divorare con gli occhi.
Di tanto in tanto, ci voltavamo verso sinistra, per gettar l’occhio alla vallata. Da quel punto, inoltre, era visibile la strada che ci aveva condotti lì, e che per prima ci aveva mostrato l’antico castello.
Calpestando il selciato che costituisce la pavimentazione della via, ai cui lati si notano abitazioni dagli intonaci variopinti, si raggiunge la piazza che ospita quello che era un grande maniero. Con dispiacere, ci siamo resi conto che il palazzo è semidiroccato, anche se le impalcature presenti promettono interventi di restauro.
Facciata posteriore del Castello
Il castello, intitolato alla Famiglia Anguillara, che ne fu prima proprietaria, sembra fosse presente già agli inizi del XIII secolo. Il nome della famiglia, starebbe a indicare la provenienza della stessa dalla località di Anguillara Sabazia, cittadina che si affaccia sulle acque del Lago di Bracciano.
La rocca è molto grande e, a giudicare dalla magnificenza che la avvolge e ne ha arricchito i particolari, i signori che ne furono padroni, debbono esser stati molto potenti.
La facciata che per prima ci è apparsa, non è quella su cui si apre l’ingresso: per ammirarla, siamo dovuti passare dentro il tunnel resosi necessario per portare avanti i lavori di restauro.
Piazza della Collegiata, è davvero bella. Si respira un’aria antica, anche se di abbandono, e che fa leva sui cuori.
Alcuni ragazzi avevano scelto le scale della grande chiesa che volge la facciata a quella del castello, come punto d’incontro, donando, così, un po’ di vita a quel luogo che sembra condannato a un lungo e indisturbato sonno.
Eppure, Faleria, non sorge affatto in un punto tagliato fuori dal mondo: a essa fanno da contorno le antiche consolari Cassia e Flaminia, nonché il florido parco naturale in cui scorre il fiume Treja.
Il possente castello che, come già ricordato, si erge su uno sperone ed è visibile dalla strada che congiunge a Calcata conserva, scolpiti sulle proprie mura, stemmi in marmo bianco in cui sono rappresentate delle anguille incrociate, simbolo della famiglia che lo detenne per secoli.
Al suo ingresso, disposti frontalmente, monconi di antiche colonne di granito egiziano che conducono al portone, sovrastato da un arco in marmo, in cui si identifica lo stemma della casata.
All’interno, un ampio cortile in cui spiccava un pozzo in traverino che, purtroppo, è stato sottratto da alcuni malviventi tempo addietro. Nell’ala destra del palazzo vi erano le carceri.
La rocca, nel corso dei secoli, ha subito diversi rimaneggiamenti. Durante il Rinascimento è stata abbellita da tre raffinate logge in pietra di peperino, che si affacciano sulla chiesa. La visione di questo lato del castello, riempie gli occhi.
Ci siamo incantati nello scrutare le maestose mura che esprimono rigore e leggerezza al tempo stesso, come a voler rappresentare un ossimoro architettonico.
Eravamo così presi, che non ci siamo curati della pioggia che stava scendendo, seppur pigramente.
Inoltre, abbiamo scoperto che fino al 1330, il castello godeva di una minore altezza ed era compretamente merlato. Ai lati, si ergevano quattro torrioni che in seguito sono stati demoliti, regalando un aspetto decisamente meno rigido e che si discosta da quello tipico della fortezza.
Chiesa della Collegiata di San Giuliano
Dirimpetto allo storico edificio, la Chiesa della Collegiata di San Giuliano, di cui si inizia ad aver notizie nell’anno 1257, grazie ad un attestato scritto. I primi originari protettori furono i S.S. Apostoli Pietro e Paolo: in loro memoria, la chiesa conserva al proprio interno un altare.
Della costruzione originale, non rimane altro che i massicci muri perimetrali, nei quali furono inseriti, a scopo decorativo, tasselli di marmo lavorato, che hanno origine addirittura da monumenti realizzati in epoca romana.
Sempre nel 1200, la chiesa si fregiava di un fine pavimento cosmatesco del quale rimane soltanto un rosone collocato dietro il portale centrale.
Vari abbellimenti e ampliamenti avvennero nel corso del tempo. Nel XIV secolo venne costruita la cripta, ottenuta rialzando il pavimento dell’altare maggiore.
Anche all’interno di questo sacro edificio, si rileva l’influenza che gli Anguillara ebbero in questo borgo; sia ai fianchi degli altari che al centro dell’affresco, sono visibili gli stemmi araldici. Nello stesso periodo, vennero anche costruiti i portali in travertino e furono incise dediche latine di non chiara interpretazione.
All’inizio del XVI secolo, fu costruito il campanile romanico, alleggerito da bifore ed altri elementi architettonici che ne fanno un monumento gradevole alla vista. Al suo interno due campane: la più grande risalente al 1343 e ancora perfettamente funzionante.
Nel ‘600 la chiesa fu ulteriormente ampliata con la costruzione di altre cappelle e di volte decorate con stucchi nelle navate laterali. Diversi affreschi contribuiscono a fare di essa un’opera che spicca per magnificenza.
Chiesa di Sant’Agostino
Alla vista della chiesa, del campanile, del palazzo e dell’ulteriore e piccola Chiesa di Sant’Agostino, ci siamo chiesti come mai non si proceda al recupero di una zona che è stata abbandonata oramai mezzo secolo fa.
Quest’ultima, di pertinenza del castello, era ad esso collegata tramite un ponte sospeso. Realizzata nel XIV secolo in laterizi, aveva un unico altare dedicato ai Santi Agostino e Monica. Nella parte sinistra è presente un affresco in cui si riconoscono le immagini della Madonna con Bambino e i santi, tra cui il patrono del paese, San Giuliano.
Abbiamo sperato di poter aprire le porte della piccola chiesa. Avremmo voluto introdurci in essa e respirare quell’aria che sa di stantio. Quella stessa aria che inalavano quanti avevano il privilegio di vivere nel castello.
Ancora una volta le nostre menti hanno immaginato la vita all’interno di quello che oggi è un agglomerato di edifici fatiscenti.
Gente dai volti più ordinari di quelli odierni ma, probabilmente, con gli sguardi meno corrucciati dei nostri. Cuori più leggeri, non sopraffatti dall’ansia che provaca il tempo, che non ci sembra mai sufficiente. Pelli arse dal sole che picchia in aperta campagna, unico, o quasi, ambiente lavorativo per migliaia di anni.
La nostalgia di ciò che non ho mai vissuto, a volte, mi sopraffà.
Ci siamo mossi verso Via dei Spagnoli, che porta ad un luogo dove la vegetazione cresce selvaggiamente e in cui sono presenti i ruderi di Faleria Antica.
Il Borgo in abbandono
La storia, a Faleria, parte da lontano, e ogni pietra, ne è testimone.
All’incirca un millennio prima di Cristo, in queste terre e, nello specifico, sulla rocca tufacea della Rocchetta, vi si stabilirono i Falisci. Il nome del primordiale centro, non è conosciuto, ma si sa che la città principale era la vicina Falerii Veteres, l’attuale Civita Castellana, che dista una decina di chilometri.
Nel III sec. a.C. i Romani realizzarono la Via Flaminia; questa importante arteria contribuìì allo sviluppo della zona, il centro assunse il nome di Stabla o Stabbia, derivante secondo alcuni dalla presenza nei paraggi di una stazione in cui avveniva il cambio dei cavalli (Stabulum), altri studiosi, invece, affermano che l’etimologia del nome potrebbe derivare dalla presenza di fortificazioni e fondamenta “stabili”. L’attuale denominazione, invece, ha relazione proprio con gli antichi abitanti del luogo.
Nominata già da Papa Giovanni XIX nell’undicesimo secolo, Stabbia era considerata un feudo. Dal XIV al XVII secolo fu proprietà dei Conti Anguillara che ne ristrutturarono il borgo, fecero realizzare la strada diritta da cui ancora oggi si accede al castello e ne fortificarono lo stesso.
Un evento importante, coinvolse due celebri nomi dell’epoca, gli Anguillara, appunto, e i Farnese. La vita del tranquillo borgo fu segnata dalla vicenda della dama Girolama Farnese, sorella della bella Giulia e di Alessandro, che diverrà Papa Paolo III, e moglie, in seconde nozze di Giuliano di Stabbia o degli Anguillara.
Il matrimonio, celebrato il 15 febbraio del 1495, fu assai tempestoso. Girolama, difatti, attirò su di sé l’odio implacabile del figlio di primo letto del marito, Giovan Battista. Questi, la sera del 1°novembre del 1505, dopo che ebbe fatto allontanare il padre dal castello con una scusa, provocò la morte della matrigna a colpi di spada, con l’aiuto dei suoi fedeli.
I colpevoli vennero arrrestati e tentarono di difendersi accusando la Farnese di aver progettato l’avvelenamento del marito e di tutti i preti di Stabbia, per impossessarsi del castello e divenirne signora.
Dopo esser stati fermati si procedette all’interrogatorio. L’omicida e i suoi complici furono rilasciati ma, sulla strada del ritorno, vennero assaliti da uomini di Magliano che uccisero alcuuni di loro.
Il corpo della nobildonna venne sepolto nel castello di Bassanello, di proprietà della famiglia Orsini, a cura della sorella Giulia, sposa di Orso Orsini.
Nel 1660 la cittadina passò al Principe Borghese, che la acquisto per 110000 scudi.
Dei secoli che seguirono non si ha memoria di eventi particolari, se non di un forte sviluppo urbanistico al di fuori della cinta muraria. L’ulteriore cambiamento riguarda il nome, come già ricordato.
Agli inizi dello scorso secolo, con la costruzione del Palazzo Comunale, vennero demolite le opere di fortificazione rimascimentale. Tristemente, il borgo è stato evacuato a partire dal 1971.
Uscendo dal paese, abbiamo incontrato quello che fu l’Ospedale di San Giuliano, ubicato in contrada “Spedaletto”, lungo la strada che conduceva alla Flaminia.
Esso era un punto di riferimento per la cura dei poveri e la sua fondazione è possibile datarla intorno all’XI secolo. Al suo interno, nella cappella, è presente un affresco che raffigura la Madonna con Bambino e i santi Giuliano e Antonio Abate.
La campagna ai piedi del Borgo
I dintorni di Faleria, sono ricchi di vestigia del passato, come chiese e castelli, e di importanti siti naturalistici a cui vale la pena dedicare lunghi momenti di svago.
Il nostro tempo, invece, è terminato troppo in fretta.
Ci siamo così avviati verso la nostra casa, percorrendo la Statale Flaminia e ammirando, una volta ancora, quel gigante che svetta nella Valle del Tevere, il Soratte.
Dobbiamo tornare, una volta ancora a farci travolgere dal passato e a conoscere l’ultimo, bellissimo, borgo: Calcata.
Il Monte Soratte