di CINZIA DICHIARA –
VITERBO – Concerto interessante e gradevole quello svoltosi ieri pomeriggio per la stagione dell’Università della Tuscia presso l’Auditorium di S. Maria in Gradi, ove il duo costituito dal flautista Andrea Montefoschi e dal pianista Marco Marzocchi ha presentato un programma esteso dalla sonata classica, con le due Sonate K 10 in Sib magg. e K 12 in La magg. di Wolfgang Amadeus Mozart, alla Fantaisie pastorale hongroise op. 127 di Albert Franz Doppler, passando per la Serenade in Re maggiore Op. 41 di Ludwig van Beethoven, per concludere con la Troisième Sonate (1933) di Philippe Gaubert.
Entrambi romani, i due interpreti sono colleghi al Conservatorio di Latina e dunque condividono anche un percorso professionale di docenti lungo il quale si sono incontrati avendo al loro attivo carriere nella musica d’arte delineate in un profilo di musicisti affermati. Il flautista Andrea Montefoschi proviene dalla scuola di un grande artista, Mario Ancillotti, e da un’istituzione importante quale il Conservatorio “Santa Cecilia” di Roma, e in seguito si e perfezionato con Wolfgang Schulz all’Accademia di Musica di Vienna come borsista del Governo austriaco, proseguendo sulla via del concertismo dopo aver vinto vari premi. Collabora con orchestre note come quella della RAI, dell’Istituzione Sinfonica Abruzzese, del Teatro dell’Opera di Roma e con diversi complessi da camera, fra i quali l’Orfeo Flute Quartet Wien, l’Ottetto italiano di fiati, i Solisti di Roma e i Solisti dell’Accademia Filarmonica Romana, e ha registrato per le più importanti reti radiofoniche nazionali, incidendo anche per l’etichetta Philips Classics. Dal canto suo, Marco Marzocchi, considerato un allievo prodigio formatosi alla scuola di maestri quali Michele Marvulli, Arnaldo Cohen e Kostantin Bogino, svolge un’attività concertistica che lo vede soprattutto impegnato nel settore cameristico, sia con il Trio Escher, costituito nel 2008 col violinista Giulio Arrigo e la violoncellista Alessandra Leardini, sia nel solido duo pianistico, a due pianoforti e a quattro mani, con Cristina Biagini, con la quale ha attraversato decenni di impegno per istituzioni prestigiose come l’Accademia Filarmonica Romana, il Festival ‘Nuova Consonanza’, il ‘Ravello Festival’, il ‘Festival Internazionale A. B. Michelangeli di Bergamo e Brescia’, ‘I Concerti del Quirinale’, e per istituti esteri di cultura e altri enti concertistici da Chicago a Taipei. La sua versatilità fa sì che il suo raggio di interesse muova dal mondo clavicembalistico all’intero repertorio pianistico, per giungere ad autori quali Barber, Maderna, Piazzolla e ad altra musica contemporanea, con l’opera completa di Giacinto Scelsi registrata per ‘Stradivarius’. 1 Generalmente bastano poche battute per capire come due interpreti sappiano lavorare insieme ma ancora meno per capire se il loro modo di suonare sappia ammaliare. Questo duo si presenta come un esempio di ensemble paritario a due voci, cioè come vuolsi tra strumentisti di qualità: laddove il flauto assuma la predominanza delle parti, il pianoforte sostiene un ruolo di concomitanza, sa ascoltarne le proposte assecondandolo o rispondendo con piglio adeguato, pronto ad inserirsi con maestria nel dialogo, ad uscire fuori per declamare nobilmente le diverse parentesi discorsive affidategli o a tenere completamente le redini laddove occorra, emergendo con suono appropriato e carattere presente, cosa che emerge benissimo nella Serenade in Re magg. op. 41 di Beethoven (Bonn, 1770-Vienna, 26 marzo 1827) fin dall’Allegro iniziale, il carattere brillante del quale evidenzia un perfetto accordo tra i due strumentisti. Lungo il ragionamento essi caratterizzano all’uopo l’agogica sia nell’eleganza delle linee, sia in un dialogo fatto di reciprocità, articolando incisi alternati con musicalità ed equilibrio nelle numerose ripetizioni stilisticamente tipiche della musica d’occasione. Tutti i particolari sono cesellati con cura: mentre il pianoforte introduce il Minuetto pronunciandone gli abbellimenti memore della graziosità dello stile galante, il flauto sciorina la propria bella cantabilità con una vena briosa e serena. A seguire, dopo il ben caratterizzato Molto Allegro, l’Andante con variazioni richiede in campo un gusto interpretativo ottimamente dimostrato dai due strumentisti grazie alla capacità espressiva, mentre l’Allegro scherzando e vivace scorre via con scorrevole lucentezza. Ne risulta una garbata esecuzione che sa ricreare il clima idilliaco e bucolico storicamente proprio di questo genere formale, sostenuta dall’evidente capacità di costruire mantenendo un filo teso dall’inizio alla fine senza cedimenti. Ma il brano che dà modo ai due di cimentarsi con trasporto in una continua flessibilità di fraseggio ottenuta attraverso sottigliezze rese con naturalezza, è la terza Sonata di Gaubert (Cahors, 5 luglio 1879-Parigi, 1941), professore di flauto al Conservatorio di Parigi e direttore principale dell’Opéra. Pezzo impegnativo e avvincente che affronta diverse procedure tecniche, inclusi scorrevoli passaggi di semicrome, cromatismi e ritmi complessi, questo si compone di tre movimenti, Allegretto, Intermedio Pastorale e Finale, che sembrano anticipare la Sonata di Poulenc per il linguaggio che ricerca suggestioni moderne eppure magicamente simboliste nelle armonie cangianti. Se ne apprezzano le sfumature di mezze tinte, i giochi ritmici compositivi, ma soprattutto la sinuosità delle linee melodiche che vanno a perdersi nel firmamento grazie agli accompagnamenti arpeggiati del pianoforte che Marzocchi diffonde con tocco vellutato, poggiandole su accordi del basso ben pedalizzati a circonfondere l’insieme di vibrazioni e risonanze, mentre il flauto di Montefoschi disegna con sicurezza forme mosse e voluttuose, eseguite con vitalità e creatività coloristica. Il duo chiude con la Fantaisie pastorale hongroise op. 127 di Albert Franz Doppler (Leopoli, 1821-Baden, 1883), brano nel quale Il modo mobilissimo di fraseggiare e di far emergere le progressioni armoniche attraverso effetti dinamici, il tipo di suono e le proporzioni tra le parti, sono parametri che confermano l’andare al di là di una semplice intesa cameristica. Dopo gli applausi finali, il duo concede un bis, la Romance di Georges Brun, così concludendo il bel concerto.