Un giro in barca

BOLSENA (Viterbo) – Quando penso al lago e ai giri in barca, mi viene in mente, senza sforzarmi neanche un po’, la melodia di “Domenica bestiale”, lo splendido pezzo di Fabio Concato, in assoluto il mio autore preferito.

Targato 1982, mi accompagna da quando non ero neanche un’adolescente.

Finalmente questo giro in barca sul lago l’ho fatto. Non era domenica e non era per “dirsi ti amo”, ma credo che lo conserverò lo stesso e gelosamente nei cassetti della mia memoria, quelli che contengono i momenti speciali.

La mia cara amica Roberta ed io, non siamo partite da Milano, ma dal capoluogo della Tuscia per dirigerci verso il litorale di Montefiascone, dove ci aspettava il nostro nocchiere che, con la gentilezza e disponibilità, ci ha regalato una vera e propria mini vacanza.

Il tempo, il giorno dell’antivigilia di Ferragosto, era dalla nostra parte. Cielo terso, sole splendente e quasi totale assenza di vento, hanno reso le nostre quasi tre ore di navigazione una permanenza molto piacevole.

Il trovarsi davanti al bacino lacustre, imprime sempre una sensazione di pace, e il dondolio delle barche ormeggiate, poco più che percettibile date le condizioni metereologiche, ha potenziato il senso di relax.

Dopo aver raggiunto il natante che ci avrebbe accompagnati alla scoperta di quello che, dall’inizio dell’estate, è il luogo che frequento con cupidigia e attenzione, ed esserci sistemate nell’invidiabile posizione che consente di essere baciate dal sole, abbiamo iniziato il nostro girovagare alla scoperta di quanto ancora non conoscessimo.

La barca ha puntato in direzione Isola Martana, il grande scoglio che rivolge il proprio volto al borgo da cui prende il nome.

Abbiamo scelto di osservarne il lato più nascosto, quello più coperto e ben visibile soltanto se lo si raggiunge via acqua. La parete concava che guarda ad est, secondo alcune tesi, rappresenta quello che era il cratere di uno dei vulcani da cui ha avuto origine il lago. Secondo altre, circa 132 000 anni fa, si sarebbero formate, a seguito di eruzioni subacquee dal fondale, le due isole Martana e Bisentina. Parrebbe anche che, immersi nelle acque, vi siano altri piccoli coni rocciosi.

Il livello del lago, nei millenni, è variato sensibilmente, se si considera che circa 15 000 anni fa era più alto di una ventina di metri rispetto ad oggi, mentre 5 000 anni dopo ebbe un abbassamento sensibile, stimato attorno ai nove metri rispetto agli attuali.

Ancora in epoca etrusca, l’Isola Martana altro non era che una penisola collegata a terra da una strada, ancora visibile se si scrutano i fondali. Sull’impervio versante roccioso, a tratti ricoperto di alberi, gabbiani e cormorani passano le loro giornate. Le acque, in quel punto, assumono una colorazione intensa, il fondale è molto più in basso e nulla invita a tuffarsi.

Il motoscafo ha puntato in direzione Marta, la prua si è rapidamente innalzata e gli spruzzi d’acqua fresca e spumosa ci hanno sfiorate. C’era calma piatta, sebbene la velocità del mezzo facesse sì che il piacevolissimo fiato di Eolo si infilasse tra i nostri capelli, scompigliandoli.

La sensazione di libertà che si respira nel momento in cui il mezzo sembra sgravarsi del suo peso, è pari alla voglia di lasciarsi ammaliare da un bene che sappiamo nostro, ma che mai avevamo esplorato con così tanta minuzia.

L’abitato di Marta, conserva anche nella visione da cui sarebbe possibile uno sbarco, un’anima antica, pittoresca. E l’anima si rivela nel lungo viale alberato, nel muretto su cui oramai oltre due mesi fa mi sono seduta e ho deciso che questo sarebbe stato il punto di partenza per raccontare una parte rilevante della nostra terra, la Tuscia, nelle casette colorate dei pescatori e nella spiaggetta prospiciente che conserva la funzione di antica rimessa per i gusci in legno che, ogni giorno, ma soprattutto ogni notte, prendono leggeri, il largo per ritornare carichi di quel gustosissimo pesce che invade i banchi del mercato o le cucine dei ristoranti.

C’è un punto, quasi al confine col comune di Capodimonte, nascosto dal sole del mattino, in cui l’acqua è piuttosto bassa e limpida. La “cava” questo è il nome con cui è conosciuta ai tanti frequentatori che hanno il privilegio di raggiungerla soltanto a bordo di un’imbarcazione.

Il nostro capitano ha puntato a dritta verso il comune gemello. La conformazione è diversa, non c’è un’altura di poco rilievo come quella che ospita la torre dell’orologio di Marta, ma un colle più significativo, probabilmente quello da cui deriva la denominazione del paese.

Alta e imponente, la Rocca Farnese, quella che gli autoctoni identificano come il castello, lascia che gli occhi si incollino ad essa per immaginare come potesse essere al tempo in cui vi nacque quella che alla sua epoca venne riconosciuta come una delle donne più belle, anzi la più bella esistente, Giulia, della famiglia Farnese, sorella di Papa Paolo III, nativo, invece, della vicina Canino.

Lasciò la casa natale in giovanissima età per unirsi a Orsino Orsini, da cui ebbe l’unica figlia Laura.

La bionda Giulia, sebbene si dica che la tenue tonalità l’avesse ottenuta grazie ad alcuni trattamenti che venivano eseguiti all’epoca, passò a miglior vita in età relativamente giovane, 49 anni, per un malessere improvviso, cui seguirono febbre e tosse. Nel suo testamento dichiarò la propria volontà ad essere sepolta sull’Isola Bisentina. Non si sa se i suoi voleri siano stati rispettati, dato che le ricerche fatte sono state poche e superficiali. Gli storici propendono per una sua sepoltura presso la Chiesa di San Gerolamo della Carità a Roma, poco distante dal Palazzo Farnese.

Quando si circumnaviga il promontorio è impossibile non notare il “Palazzo del Dispetto” fatto edificare su progetto dell’architetto Valadier, le sue linee e, credo, i successivi restauri, non rendono giustizia al panorama, tanto il suo aspetto abbia le sembianze di un caseggiato popolare.

Ci siamo inoltrati nel porto della località lacustre per fare rifornimento di carburante. Un ottimo odore di dolci da forno è giunto, lievemente, a noi, deliziando uno degli ultimi sensi che ancora non era stato soddisfatto.

La nostra navigazione è poi ripresa verso l’Isola Bisentina, che appare come una donna sinuosa cui le acque sfiorano le dolci forme.

In lontananza l’abitato di Valentano arroccato a circa 540 mt slm, guarda il grande bacino azzurro, senza poterne toccare le sponde. In realtà il comune arriva sino ad esso, ma non ci sono costruzioni in cui risiedere.

Ci avviciniamo all’isola e ci accorgiamo di essere in buona compagnia: tante sono le barche che raggiungono le limpide acque verde smeraldo che lambiscono le scura roccia.

Notiamo dei giardini molto curati; l’isola è proprietà privata e, all’apparenza, i possessori sembrano davvero, e giustamente, tenerci molto.

Mi chiedo se mai riuscirò ad approdare ad essa e a visitarla.

La Chiesa di Santa Caterina, sorretta dalle impalcature necessarie al suo restauro, ci guarda da una distanza non troppo cospicua, così come alcune altre costruzioni, e quelle che vanno a completare le leggendarie sette chiese, nate su ispirazione delle sette chiese di Roma, risalenti al periodo in cui i frati popolavano il territorio isolano, cioè a partire dal XV secolo in poi. L’isola è un vero e proprio libro di storia, se soltanto si pensa che i primi reperti ritrovati nelle sue terre, risalgono all’epoca etrusca. Vide poi le genti che cercarono in essa riparo dalle aggressioni dei Longobardi e dei Saraceni, divenne comune autonomo che si ribellò al dominio della città di Orvieto.

Passò successivamente sotto lo Stato Pontificio, fino al 1871, anno in cui divenne proprietà di un imprenditore torinese, Alarico Patti. Nel 1912 fu acquistata dalla principessa Beatrice Spada che vi realizzò un giardino all’italiana ed alcune altre costruzioni tra cui un porticciolo in stile liberty. Successivamente, e fino all’attuale proprietario, la Fondazione Rovati, passò in eredità ai Principi Del Drago che la aprirono al pubblico dal 1970 per un paio di decenni, cedendone la splendida cornice per concerti di musica classica.

Un tuffo nelle acque smeraldine, fugace, non lo si è potuto certo lesinare.

Puntiamo verso le spiagge di Valentano, Gradoli, Grotte di Castro e San Lorenzo Nuovo e l’arco regolare posto a nord, ci regala una visione differente rispetto a quella cui eravamo abituati. Sembra quasi di essere al mare. In alcuni punti l’arenile è abbastanza largo da permettere il posizionamento di alcune file di ombrelloni. Osserviamo quelle fortezze medievali che sono i comuni più a settentrione della provincia, che prendono la forma di terrazze sul lago. Scarsamente popolate, si lasciano ammirare come orme di un passato che sta oramai tramontando.

Cerchiamo un punto di ormeggio, senza successo e, dopo aver superato camping e spiagge libere, ci dirigiamo verso la bella Bolsena, cittadina che dà il nome al lago.

Attracchiamo al molo e ci gustiamo un caffè, felici di quanto visto fino a quel momento, ma con la tristezza che deriva dal sapere di aver quasi chiuso il cerchio.

Il braccio d’acqua che ci riporta al punto di partenza ci permette di scorgere la regina del lago, Montefiascone, che si erge maestosa e sembra quasi proteggere lo specchio d’acqua che domina. La Rocca e i suoi giardini, il complesso Cardinal Barbarigo, le sue torri, le chiese, le abitazioni dolcemente poggiate sui versanti delle colline, creano un panorama facile da apprezzare.

Il nostro giro termina tra gli spruzzi indolenti e poco agili provocati dall’andare del gommone che ci ha riportato a terra.

Scendiamo, ringraziamo e ci congediamo dal nostro accompagnatore che, inconsapevolmente e con molta generosità, ci ha permesso di ammirare un quadro che avevamo visto soltanto in maniera sommaria e da un’unica prospettiva.

La barca, una splendida metafora dell’esistenza.

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