Un Piano Industriale per il Lazio e Roma: la sinergia tra imprese e istituzioni

di REDAZIONE-

ROMA- Un piano industriale ambizioso per il Lazio e la capitale, Roma, basato su asset strategici e sulla collaborazione tra imprese e istituzioni, è stato proposto durante l’Assemblea Generale di Unindustria. Tenutasi stamattina al Centro Congressi La Nuvola all’Eur di Roma, l’incontro ha evidenziato l’importanza di infrastrutture, zone logistiche semplificate e l’adeguamento della domanda e dell’offerta di lavoro.

Il presidente di Unindustria, Angelo Camilli, ha sottolineato la necessità di assumere un ruolo di leadership nel settore nucleare europeo, sottolineando che il Lazio ospita il primo impianto nucleare italiano. La regione è già in prima linea nella riduzione delle emissioni di CO2 e deve continuare su questa strada, puntando su energie pulite come nucleare e rinnovabili.

Tuttavia, accanto alle opportunità, Unindustria ha evidenziato la necessità di ridurre i tempi burocratici, invitando le istituzioni a migliorare l’efficienza amministrativa per favorire gli investimenti sia pubblici che privati. Il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, e il presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, hanno ricevuto queste richieste con attenzione.

Di seguito la nota stampa della capogruppo di Italia Viva alla Regione Lazio Marietta Tidei, con cortese preghiera di pubblicazione: “Signor Ministro, Autorità, care colleghe e cari colleghi, gentili ospiti, a tutti voi il mio caloroso benvenuto alla nostra Assemblea.

Ringrazio a nome di tutti gli associati e mio personale il Ministro Adolfo Urso che, con la sua presenza, ci conferma la centralità di Roma e del Lazio per lo sviluppo economico ed industriale italiano.

Due anni fa avevo aperto la mia Relazione citando la profonda instabilità geopolitica che, con lo scoppio del conflitto russo-ucraino, stava caratterizzando gli anni Venti del nuovo millennio, già violentemente colpiti dalla pandemia.

Speravamo di veder finire quella guerra in pochi mesi, insieme alle sanzioni e allo shock sul mercato energetico; invece, si è aggiunto un altro tragico conflitto, quello tra Israele e Hamas, con nuove forti tensioni, anche commerciali, in Medio Oriente.

È la “Terza Guerra Mondiale a pezzi ” evocata da Papa Francesco.

Il sistema pacifico e aperto costruito dopo la caduta del Muro non è eterno come pensavamo: la storia non procede con il pilota automatico.

In un mondo in cui la globalizzazione sembrava aver reso tutto a portata di mano, abbiamo riscoperto le distanze, fisiche e politiche.

Parole come frammentazione e sicurezza sono diventate sempre più frequenti nelle discussioni su filiere e sistemi economici.

Nonostante ciò, il commercio internazionale è ancora solido: nel 2021 valeva il 57% del PIL mondiale contro il 38% del 1990. Insomma, più di metà dell’economia globale si sviluppa fuori dai confini domestici.

Ma c’è una evidente trasformazione in corso.

La ri-globalizzazione e l’orgoglio industriale europeo da ritrovare

La Cina non rappresenta più la manifattura a basso costo del mondo, ma è leader di tante filiere internazionali.

Gli Stati Uniti sono ancora una superpotenza, ma non più l’unica. Cercano nuove alleanze, rilanciano sui temi dell’industria e si confrontano apertamente con Pechino e con i Paesi emergenti.

In mezzo la nostra Europa, che vale la seconda economia mondiale, ma che non riesce ad esprimere ancora un valore politico unitario.

Stiamo andando verso una globalizzazione selettiva, organizzata su blocchi di Paesi affini per valori civili ed economici. Così, le scelte della politica hanno sempre più peso sulle traiettorie dell’economia.

Il 2024 sarà l’anno del record elettorale: si voterà in 76 Paesi e un risultato anziché un altro potrà influire sul futuro di tutti, perché gli esiti delle grandi sfide sui diritti civili, sul cambiamento climatico, sulle tecnologie dipenderanno dall’equilibrio tra competizione e collaborazione a livello globale.

E il primo banco di prova sarà proprio l’Europa.

L’instabilità internazionale e la vicinanza ai conflitti impongono all’Europa di essere un attore principale e non una comparsa sia nella diplomazia, sia nella Difesa vera e propria.

La nostra Unione, inoltre, deve essere più determinata a garantire quella crescita economica equilibrata richiamata nel suo Trattato costitutivo, con scelte innovative utili a promuovere le potenzialità dell’Impresa europea e le opportunità del mercato unico.

Dopo le elezioni europee sarà fondamentale un Industrial Act per sostenere le grandi trasformazioni verde e digitale con la contemporanea emissione di Titoli Sovrani Europei, come suggerito anche dal Governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta.

La Commissione europea ha affermato che per la sola transizione green servono 3.500 miliardi, di cui 650 in Italia. Il Centro Studi di Confindustria ne ha stimati addirittura 1.100 per la nostra economia.

Le imprese europee, ed in particolare quelle italiane, non vogliono sottrarsi alla sfida della sostenibilità, anzi ne sono naturalmente protagoniste perché trasformatrici per definizione, efficienti per consumi e capacità di riciclo.

Ma, da sole non potranno mai farcela, soprattutto se l’ideologia prevale sulla realtà, come accaduto per le decisioni sulle politiche ambientali.

Abbiamo bisogno di un’Europa che, con obiettivi chiari e credibili, sia meno concentrata a vietare e più orientata a promuovere lo sviluppo strategico attraverso tutte le migliori tecnologie disponibili.

È quello che proponiamo nel documento di Confindustria Fabbrica Europa che abbiamo costruito con un impegno vero di sistema e che presenteremo ai candidati alle elezioni europee nelle prossime settimane.

Pensiamo che l’Italia debba sostenere con forza questi temi nell’agenda del nuovo governo europeo. Vogliamo credere in un’Italia orgogliosa del suo DNA industriale.

 

Le parole chiave per l’Italia: Riforme, Imprese, Visione

 

Il nostro Paese ha bisogno della dimensione europea nella stessa misura in cui l’Europa ha bisogno dell’Italia, perché siamo espressione fondamentale dell’economia e della geografia dell’Unione.

Solo con l’Europa possiamo affrontare la competizione produttiva globale. E sono anche convinto che è grazie all’Europa che possiamo sciogliere i nodi irrisolti che frenano la crescita del nostro Paese.

Il PNRR ne è l’esempio. Al netto dei suoi errori iniziali, è un Piano che ragiona per obiettivi, che ne definisce i tempi e impone innovazioni radicali.

I report di avanzamento ci vedono tra i Paesi più virtuosi, con il risultato più alto per i traguardi finora raggiunti.

Abbiamo apprezzato la revisione del Governo che ha rinunciato ad alcune spese incerte e ha puntato sulla spinta innovativa delle imprese.

Noi faremo la nostra parte come in tutte le occasioni in cui si scommette sulla crescita.

Nei prossimi due anni, però, è necessaria un’accelerazione decisiva per dare prova che i fondi concessi e quelli che pesano sul nostro debito non siano stati l’ennesima distribuzione effimera di risorse.

Per questo serve una svolta nelle riforme, perché solo così alla fine del 2026 avremo reso davvero il Paese più moderno.

Aspettiamo una vera riforma della Pubblica Amministrazione e della Giustizia ancora troppo indifferenti al destino delle imprese.

Non chiediamo trattamenti di favore, ma semplicemente più competenze, regole chiare e tempi certi.

Sul tema della semplificazione, abbiamo grande fiducia nella riforma degli incentivi alle imprese proposta dal Ministro Urso: razionalizzare le attuali 2 mila agevolazioni e snellire le procedure possono essere leve fondamentali per spingere l’innovazione nelle direzioni più strategiche.

Serve, poi, più coraggio sulla Concorrenza come ha ricordato il Presidente della Repubblica in un messaggio al Governo e alle Camere invitando a superare i profili di contrasto tra diritto italiano ed europeo.

Sono tutte riforme che servono al Paese, più che al PNRR.

Dobbiamo passare dal “ce lo chiede l’Europa” al “lo vuole l’Italia”.

Nel 2026, quando il PNRR dovrà essere completato, il giudizio politico si concentrerà su chi avrà ricevuto più fondi, dunque su di noi.

Quanto più il nostro Piano sarà di successo, tanto più conterà la nostra voce in Europa su tutti i principali dossier.

Il 2023 per l’economia italiana si è chiuso con un risultato migliore della media europea.

Il +0,9 del nostro PIL è una notizia positiva se pensiamo che alla congiuntura globale rimasta debole si è aggiunto il record negativo storico della Germania.

Le imprese italiane, pur nelle difficoltà, hanno dato il loro miglior contributo alla crescita.

Perché di questo vive un’impresa: produrre con la massima efficienza e crescere quanto più possibile nelle condizioni che il contesto le offre.

Qualsiasi criticità arriva prima dentro i cancelli delle aziende e per primi noi imprenditori ci dobbiamo organizzare per risolverle.

Siamo INTRINSECAMENTE avamposti del cambiamento.

In questi anni, abbiamo recuperato produttività, siamo stati l’orgoglio della grande ripresa post-covid. Ma l’impegno dell’impresa, da solo, non basta.

Per noi l’intervento coraggioso e strutturale sul costo del lavoro rimane una priorità: il taglio del cuneo fiscale deve arrivare almeno a 15 miliardi e non essere più messo in discussione ad ogni Legge di Bilancio.

Anche la politica locale non deve sentirsi estranea a questo appello. Lo sappiamo bene nel Lazio e a Roma dove abbiamo le addizionali IRPEF più alte d’Italia. Anche queste impoveriscono i salari.

Serve accelerare sul Piano Industria 5.0 perché è l’unico vero pilastro di politica industriale capace di attivare gli investimenti per agganciare le grandi transizioni.

Abbiamo bisogno che il Paese creda di più nell’Industria come fattore abilitante della crescita, soprattutto in una fase in cui non siamo al riparo da nuove incertezze.

Le tensioni geopolitiche in Medio Oriente e nel Canale di Suez hanno inciso ancora poco sui risultati dello scorso anno, ma c’è preoccupazione per il 2024 e gli interessi italiani sono molti di più di quanto si immagini.

Basti pensare che il 40% di tutto l’interscambio marittimo italiano passa attraverso lo Stretto di Suez.

I costi di trasporto da Shanghai a Civitavecchia sono quadruplicati, passando da 1.500 a 6.000 euro per container, in un viaggio che da 45 giorni in media è arrivato a durare oltre 60.

Ancora una volta è una crisi a ricordarci le nostre fragilità e, insieme, le nostre potenzialità.

Parliamo molto di spiagge, poco di porti.

Le giuste ambizioni nel Mediterraneo e un nuovo protagonismo per il Centro Italia

È giusto aspirare ad un protagonismo nel Mediterraneo perché è la porta insostituibile verso l’Atlantico.

Se si chiude lo sbocco dell’Italia all’Oceano si fermano i due terzi delle importazioni ed un terzo delle esportazioni.

La Penisola prospera se il nostro mare è libero e aperto. Soffoca se invece il nostro vantaggio geografico – come piattaforma strategica fra Europa e Africa – diventa teatro di crisi.

Il Piano Mattei presentato dal Governo è una iniziativa importante e l’Italia con le sue aziende può legittimamente guidare grandi progetti di sviluppo con i Paesi coinvolti.

Abbiamo l’occasione di rendere forte il Mediterraneo irrobustendo le regioni del Centro e del Sud.

Sappiamo che il nostro è un Paese a più velocità, ma non ha più senso parlare di un’Italia semplicemente spaccata in due.

I dati affermano che le uniche regioni a non aver recuperato i livelli di PIL pre-covid sono quelle centrali, incluso il Lazio.

Potremmo dire che esiste una Questione Italia Centrale, ma credo sia più utile pensare ai problemi del Paese come ai problemi di tutti e viceversa.

Il Centro Italia può dare all’Europa un contributo decisivo sia nei rapporti con il Mediterraneo, ma anche con quanto di positivo avviene ad Est, dall’Albania al Montenegro.

Ma le regioni centrali hanno bisogno di importanti investimenti sugli scali portuali, sui retroporti, sulla logistica e sulle connessioni verso le direttrici che collegano Nord e Sud.

L’unica ricetta utile ad evitare l’impoverimento delle aree interne è quella di far crescere l’impresa: nessuno torna per comprare case ad 1 euro se non c’è il lavoro.

In questo quadro, la ricostruzione delle zone colpite dai terremoti del 2009 e del 2016 non è solo un dovere, ma può diventare un volano importante per la nostra economia, come ha ricordato il premier Meloni.

Unindustria conosce bene la realtà del reatino.

Sa quanto sia necessaria un’accelerazione significativa nei Comuni del cratere, ma anche l’avvio del Programma di Sviluppo Economico che potrebbe aprire nuove opportunità per le aree industriali di Cittaducale e Borgorose.

In un momento storico in cui sta crescendo il dibattito sull’autonomia differenziata, la tragedia del sisma così come l’alluvione in Emilia-Romagna dello scorso anno ci ricordano che se le connessioni economiche tra le nostre regioni si sfilacciano, il danno ricade su tutto il Paese.

Le identità storico-culturali e le vocazioni produttive territoriali sono un patrimonio da tutelare, ma alcuni temi strategici dello sviluppo, dall’energia alle infrastrutture, devono essere certamente affrontati ed orientati a livello nazionale.

Anche questa è una questione di geopolitica nel grande schema di interdipendenze che abbiamo tracciato.

Un Piano Industriale per il Lazio: più valore aggiunto, più lavoro qualificato, più crescita

 

Il Governo del Paese e quello della nostra Regione possono considerarsi giovani se guardiamo al tempo trascorso da quando sono in carica: per questo sentiamo di poter chiedere loro un grande slancio di visione.

Il Lazio deve mirare ad un ambizioso riposizionamento in Italia e in Europa.

Le più recenti stime sul PIL del Lazio nel 2023 ci collocano appena sopra la media italiana, ma dopo la caduta del 2020 non abbiamo agganciato il ritmo di rilancio delle altre principali regioni.

È un film che abbiamo già visto: l’economia regionale dimostra di avere il fiato corto.

Dobbiamo decidere se continuare a perdere terreno o riprendere a correre.

Dobbiamo decidere se accontentarci della ricchezza che riusciamo a produrre sempre più a fatica o se vogliamo più innovazione, più produttività, retribuzioni migliori e maggior benessere diffuso.

Il contributo di Unindustria è quello di proporre un Piano Industriale per il Lazio.

Una piattaforma di temi e obiettivi su cui immaginare le azioni per un salto di qualità decisivo verso la dimensione di Terra d’Impresa che lanciammo due anni fa.

Negli ultimi venti anni il nostro capitale industriale si è ampiamente ridotto: il valore aggiunto dell’industria è diminuito di un terzo.

Da soli i servizi non bastano per accelerare la crescita.

L’innovazione si trasferisce e si valorizza nella manifattura ed è la manifattura che fa crescere la domanda dei servizi ad alta intensità di conoscenza.

Dobbiamo ristabilire un rapporto più equilibrato tra l’industria intelligente e i servizi ad alto valore aggiunto nella nostra economia come antidoto alla bassa crescita.

Abbiamo bisogno di un numero maggiore di medie imprese per competere sui mercati globali e di irrobustire le tante numerose piccole eccellenze.

Chiarezza, trasparenza e impegno comune sono le tre parole che devono guidare le scelte per disegnare il Lazio che vogliamo per i prossimi anni.

La fame di crescita delle imprese c’è.

Lo dimostra la partecipazione per le misure sul rafforzamento patrimoniale delle PMI presentate lo scorso dicembre dalla Regione, dopo 6 anni dalla nostra richiesta: per un plafond di 15 milioni di euro, ad oggi in soli tre mesi, le manifestazioni d’interesse hanno superato abbondantemente i 100 milioni.

Nella scorsa Assemblea chiedemmo una dotazione di 200 milioni in cinque anni: questi numeri dimostrano che non ci sbagliavamo, che le imprese vogliono crescere, innovare e scommettere ancora su questa regione.

Il sostanziale raddoppio delle risorse comunitarie per i Programmi regionali 2021-2027 è un’occasione irripetibile per capitalizzare questa fiducia.

La Regione deve sostenere gli investimenti innovativi senza atteggiamenti pregiudiziali e senza escludere le Grandi Imprese che sono un patrimonio essenziale del nostro sistema produttivo.

Allo stesso tempo, bisogna immaginare strumenti più accessibili alle PMI.

Abbiamo proposto di lavorare ad una misura simile ai Contratti di Sviluppo ma con una soglia minima di investimento di 1.5 milioni di euro – anziché 20 milioni – e siamo fiduciosi che la Regione accolga la nostra idea.

Il dialogo con i nostri interlocutori istituzionali è sempre più intenso e positivo.

Ma il riflesso dell’azione tra le dichiarazioni e i fatti deve essere più stretto e immediato.

Abbiamo il Consorzio industriale più grande d’Italia che deve diventare un modello nella gestione dei contesti produttivi, un attivatore di opere essenziali, un facilitatore per la vita delle imprese.

I temi delle aree industriali devono trovare, però, più spazio nella discussione e adeguate risposte strutturali.

Ad esempio, da Cisterna di Latina ad Anagni, da Aprilia a Santa Palomba il sistema idrico e degli impianti di depurazione sta diventando un problema che rischia di fermare gli stabilimenti.

L’acqua è un tema di sicurezza nazionale.

Anche qui ci vogliono attenzione, investimenti e un approccio industriale nella gestione che ci renda più virtuosi e sostenibili.

Dal PNRR e dal Fondo per lo Sviluppo e la Coesione ci aspettiamo un contributo decisivo sulle infrastrutture.

Siamo soddisfatti che alcune opere fondamentali come la Orte-Civitavecchia, la Cisterna-Valmontone e l’adeguamento della Salaria abbiano registrato importanti passi in avanti.

Allo stesso tempo, chiediamo un calendario credibile per la Roma-Latina e garanzie sulla realizzazione della nuova Latina-Frosinone.

Per essere più competitivi e attrattivi, però, non servono solo le opere fisiche.

Il Lazio non deve essere più il luogo in cui un’impresa aspetta in media 300 giorni per un’autorizzazione ambientale.

In 300 giorni è stato ricostruito il Ponte di Genova!

Ridurre a 90 giorni queste performance sarebbe già il segno del salto in avanti che vogliamo fare.

Il Lazio deve essere la Regione che nei prossimi due mesi concluderà l’iter per il riconoscimento della Zona Logistica Semplificata con il Ministero della Coesione.

Inoltre, servono azioni decise su formazione e lavoro.

Nel corso del 2023, su oltre mezzo milione di assunzioni previste, il 40% è stato di difficile reperimento.

Ha sofferto in particolare l’Industria dove il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro è arrivato al 50%, ma anche l’ICT ha faticato nel 44% delle occasioni a trovare personale.

Abbiamo ancora preoccupanti deficit sui servizi di orientamento e nelle scuole professionali.

Il Programma regionale del Fondo Sociale Europeo 2021-2027 supera 1,6 miliardi di euro, ma stenta ancora a partire. Serve fare bene e in fretta.

Il potenziamento degli ITS è un fatto positivo, ma non è sufficiente.

Far lavorare i ragazzi nella regione dove hanno studiato deve essere un obiettivo fondamentale della politica.

Non è campanilismo, è sana politica demografica.

Andare via per i nostri giovani deve essere una opzione, non una scelta obbligata.

Al Governo, per i giovani, chiederei di ripristinare il bonus assunzioni under 36, indirizzandolo a laureati e dottorati per favorire l’ingresso delle migliori energie nelle imprese.

Con le Università dobbiamo puntare ad una vera co-progettazione dei percorsi di formazione e di tirocinio per avvicinare sempre più i giovani alle tante realtà imprenditoriali del territorio.

Con i Sindacati, poi, immaginiamo un sistema di politiche attive efficaci per migliorare le competenze e l’occupabilità delle persone che rischiano di uscire dal mercato del lavoro per effetto delle grandi trasformazioni in corso.

Le nostre imprese meritano un Lazio più protagonista nelle scelte sulle filiere industriali strategiche.

Il Digitale, la Cybersicurezza, l’Aerospazio e il Farmaceutico sono settori su cui abbiamo un vantaggio competitivo importante e che vedono le tendenze di investimento continuare a crescere nei prossimi anni.

Così come siamo eccellenza del Made in Italy con la produzione di ceramica sanitaria a Viterbo, famosa in tutto il mondo per design e qualità.

Il Lazio deve proteggere i suoi primati industriali in questi ambiti.

Infine, con coraggio, dovremmo candidarci ad un ruolo centrale nel nuovo corso europeo dell’energia nucleare. Nel Lazio è stato acceso il primo impianto italiano 60 anni fa.

Abbiamo competenze accademiche eccellenti; con ENEA a Frascati partecipiamo al progetto europeo per la fusione nucleare con investimenti importanti della Regione. Dobbiamo cogliere questa opportunità, fugando tutti i pregiudizi con le certezze della scienza.

Siamo la prima regione in Italia per riduzione delle emissioni da CO2: dobbiamo essere fra i leader nazionali per l’energia pulita affiancando il nucleare ad un grande impulso sugli impianti rinnovabili.

Questo vuol dire fare davvero politica industriale; questo vuol dire andare oltre la superficie dei problemi e cambiare marcia alla crescita dei nostri territori.

Roma città produttiva: riscoprire la leadership economica della Capitale

Il ruolo di Roma, in questo disegno di sviluppo che vogliamo tracciare, è tutt’altro che indifferente.

Dobbiamo, però, raccontare anche la Roma che si vede poco o quella che vorremmo vedere di più.

Identifichiamo la Capitale principalmente con il turismo e i servizi ad alta intensità di conoscenza.

È corretto, ma è una visione parziale.

Roma si colloca infatti al quarto posto in Italia per il contributo al valore aggiunto dell’industria a livello nazionale, dopo Milano, Torino e Brescia.

Questo fatto può sorprendere, ma testimonia l’effettiva diversificazione dell’economia romana.

Settori industriali come il Digitale, l’Aerospazio e Difesa, la Farmaceutica e le Biotecnologie, il Cinema e l’Audiovisivo, l’Energia e il Green stanno guadagnando sempre più rilevanza, anche a livello internazionale.

La Città è quindi molto più dinamica di quanto possa sembrare, ma ha bisogno di nuove ambizioni e di un contesto all’altezza di altre grandi Capitali.

Nella nostra visione, Roma deve essere attrice protagonista del Piano Industriale del Lazio.

Deve rivendicare il suo ruolo di importante città metropolitana, sede di grandi Multinazionali e di Istituzioni internazionali.

Non può ignorare le scelte che riguardano elementi cruciali per lo sviluppo della Capitale e della Regione, solo perché si trovano fuori dal perimetro del Grande Raccordo Anulare: dall’area industriale e logistica di Pomezia, all’aeroporto di Fiumicino, fino al porto di Civitavecchia, per fare i tre esempi di maggior rilievo.

La Capitale deve essere un acceleratore per le economie degli altri territori della regione.

Nei prossimi anni sono previsti investimenti tra pubblico e privato per 13 miliardi. Già per il Giubileo sono programmati interventi per 2,6 miliardi di euro fino al 2026.

La buona notizia è, dunque, che le risorse economiche ci sono.

La sensazione meno positiva ce la dà il dubbio persistente sulla capacità di realizzare opere e progetti per intero e nei tempi previsti.

Roma deve ribaltare la sua narrazione di capitale dei “NO” e dare prova che qui le cose si possano fare.

La collaborazione istituzionale e la sinergia con i privati attivate per la candidatura ad EXPO, che Unindustria ha proposto nel 2020, sono un modello positivo da replicare per il bene della Città.

La volontà di realizzare comunque alcuni importanti interventi previsti nel dossier EXPO ci invita a proseguire con convinzione su questa strada.

Sul termovalorizzatore ci vuole la stessa sintonia, perché è un’opera indispensabile per l’ambiente, per il decoro e per il rilancio dell’economia.

Nella gestione dei grandi servizi, mobilità e rifiuti, bisogna compiere passi coraggiosi e innovativi, anche facendo scelte diverse negli affidamenti e nei contratti di servizio con l’ingresso dei privati, nel solco degli orientamenti europei.

Rendere la Città e la sua macchina amministrativa più efficienti è il presupposto per migliorare la qualità della vita delle persone e diventare così più attrattivi per le imprese.

Perché le imprese stanno meglio dove i propri dipendenti vivono bene.

Così come è fondamentale per le imprese poter contare su un tessuto sociale, professionale e accademico ricco di stimoli, competenze e innovazione.

Per questo Unindustria ha proposto e creduto nel Rome Technopole, perché Roma e il Lazio presentano una concentrazione unica di Università e Centri di Ricerca di grande spessore, ma la connessione con il tessuto produttivo non riesce a dare i risultati che dovremmo aspettarci.

Ringraziando i partner coinvolti per l’impegno finora dimostrato, sul Rome Technopole chiedo un ingaggio più convinto di tutti i soci per un cambio di passo, soprattutto culturale, nella gestione di questa grande iniziativa pubblico-privata che faccia prevalere la logica del risultato per generare più ricerca e attrarre nuovi talenti.

E, insieme ai talenti, abbiamo bisogno di attrarre un turismo più esigente, puntando sulla qualità, non più solo sulla quantità.

Negli ultimi mesi sembrano emergere segnali positivi in tal senso. Queste tendenze vanno promosse e incoraggiate.

Le aperture di alberghi di lusso che riqualificano intere parti della Città sono un valore da proteggere e far crescere: tra il 2018 e il 2023 siamo già arrivati a 50 strutture in più ed altre seguiranno da qui al 2026.

Il segmento congressuale nel 2023 è cresciuto del 10% rispetto al 2019: un altro attivatore da irrobustire.

E non possiamo pensare ad una grande città senza programmare grandi eventi.

Quelli passati ci hanno dimostrato sempre quanto Roma sia apprezzata e competitiva nell’organizzazione delle manifestazioni.

Lo abbiamo visto ultimamente con il successo della Ryder Cup.

Sono sicuro che lo vedremo con gli Europei di Atletica a giugno, dove potremo contare su una Nazionale che ha tutte le carte in regola per farci sognare.

Anche questo è “saper fare” italiano.

Conclusioni

Gentili ospiti,

ogni giorno, quando leggiamo i quotidiani ed ascoltiamo i media, cerchiamo di unire su un foglio bianco tanti punti all’apparenza sparsi, per vedere un disegno compiuto del futuro.

Abbiamo di fronte un Paese che ha grandi potenzialità ma che stenta a trovare le giuste priorità di azione.

Fatichiamo a immaginare la nostra Italia fuori dal presente, ma invece è proprio questo il compito altissimo e complesso che ci viene richiesto: fissare i punti attraverso cui tratteggiare il profilo del Paese nei prossimi trent’anni.

La scelta è politica e le alternative sono poche.

Rassegnarsi ad essere un Paese bloccato sullo zero virgola, con troppi pesi sulle spalle, oppure essere una Nazione dinamica, in grado di superare le difficoltà senza rinunciare ai grandi traguardi.

Il successo di Rotterdam il 18 febbraio scorso ci dice che un italiano è il tennista numero 3 del mondo.

Jannik Sinner, con i suoi recenti trionfi, ci ha fatto pensare, con una grande emozione, di essere all’inizio di tante altre vittorie e trofei.

Perché non imitarlo?

Le imprese sanno costruire il futuro allo stesso modo dei grandi campioni: partita dopo partita.

Con spirito di sacrificio.

Con la resistenza dopo i momenti di crisi e con la ripartenza.

Con la tenacia e la passione delle grandi personalità, che sanno capovolgere ogni pronostico.

Per loro, per tutti noi, le difficoltà, le sconfitte, le stanchezze non spengono mai la speranza, che non è solo ottimismo ma è vero impegno morale.

Scriveva Franco Modigliani “le capacità imprenditoriali degli italiani sono uniche. Se avesse un sistema politico, amministrativo, sociale “serio” l’Italia sarebbe il primo Paese al mondo”.

Sono certo che la “serietà” non ci manchi.

Abbiamo vissuto in pieno la pandemia e poi la ripresa.

Ci siamo rimboccati le maniche, orgogliosi di rappresentare quella comunità che ha deciso che qualsiasi sfida si abbia di fronte è sempre meglio affrontarla insieme.

Sono certo che il nostro Paese MERITI di recuperare una visione ampia e ambiziosa, animata da un rinnovato amore per la crescita, per riprendere il cammino, veloce ed alleggerito, verso una nuova e robusta prosperità.

Nel mio lungo impegno nel sistema associativo, mi ha sempre sostenuto la grande passione di far crescere le nostre imprese insieme al territorio, con lo sguardo rivolto a tutto ciò che succedeva più in là dei nostri confini quotidiani.

Un impegno che è identico in tutta Confindustria da 114 anni e che si rinnova ad ogni elezione dei suoi Presidenti.

Perchè le imprese continuano a credere nell’Italia!

 

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