Una nuova visione della politica culturale a Viterbo: intervista al vice sindaco e assessore alla Cultura Alfonso Antoniozzi

VITERBO- L’estate viterbese è densa di eventi culturali, quali sono i più significativi? E’ molto difficile rispondere a questa domanda se non si chiarisce prima quale sia l’esatto significato della parola “cultura” che, volendo, potrebbe abbracciare ogni singola azione dell’essere umano che modifichi il corso naturale delle cose. Paradossalmente, persino decidere di non agire sul corso delle cose può essere considerata una forma di cultura: la cultura dell’inazione è, comunque, una scelta culturale. Vede com’è complesso? Per il mio personale punto di vista e per tentare una qualche forma di risposta alla sua domanda, cultura è tutto quanto non si limiti al mero intrattenimento e si sforzi di prendersi cura della crescita individuale dell’essere umano come singolo e della società come corpo collettivo, dunque gli eventi per me più significativi sono quelli che remano in questa direzione, che suggeriscono una chiave di lettura della nostra vita e della nostra società diversa da quella che pensiamo di avere in tasca, che ci mettono in contatto con le altrui esperienze di vita, che ci stimolano, che ci pungolano, magari persino che ci indignano ma che non ci lasciano né indifferenti né tantomeno accontentati. Non le farò mai un nome preciso perché l’ultima cosa che vorrei innescare è una polemica da bar, ma gli operatori culturali che remano in questa direzione sanno benissimo chi sono, e li ringrazio .

In un capoluogo di provincia un assessore alla cultura è chiamato a fare scelte selettive, quali sono i criteri a cui si ispira?

Quelli cui accennavo nella mia precedente risposta. Poi è ovvio che la missione di un assessore sia ben diversa da quella di un organizzatore privato: l’assessore ha l’obbligo morale di sostenere, coordinare, mettere in rete, far dialogare tutte le multiformi realtà che si occupano di quell’enorme calderone semantico che chiamiamo cultura e magari persino di riuscire a far comprendere che alcune iniziative, senza che questo nulla tolga alla loro validità, sarebbe più logico attenessero a una missione amministrativa diversa, sia questa il settore del sociale, del turismo, dello sport o dello sviluppo economico. C’è da districare un fraintendimento ultradecennale, e non è missione semplice.

Quanto investe in cultura il Comune di Viterbo?

Non posso darle una cifra precisa perché varia di anno in anno a seconda delle disponibilità del bilancio dell’ente. Nell’anno corrente, se togliamo dal computo il sostegno alle feste patronali , le spese per la Macchina di Santa Rosa e il contributo al Consorzio Biblioteche (che sono, di fatto, spese ricorrenti e che pure vanno ascritte nel bilancio del settore), tra stagioni teatrali invernale ed estiva, fondi del bando cultura, eventi in convenzione, sostegni diretti e indiretti alle iniziative superiamo tranquillamente il mezzo milione di euro. Giova ricordare sempre che ogni euro investito in cultura, come una veloce ricerca in rete potrà confermarle, è bene investito. Per farle un esempio: il solo Festival Barocco Stradella, che pure può essere considerato un evento di nicchia, ha avuto una ricaduta economica verso artisti, professionisti, servizi e aziende viterbesi di poco meno di 58.000 euro a fronte di un investimento di 22.500 euro da parte dell’Amministrazione. E mi creda quando le dico che a mio parere un’ offerta culturale si giustifica da sé, senza bisogno di cifre, ma di questi tempi pare sia fondamentale dimostrare che la cultura abbia una ricaduta economica per giustificarne gli investimenti. Ce l’ha.

In quale direzione vorrebbe che si indirizzasse la vita culturale della città nel prossimo futuro?

Mi piacerebbe ci fosse da parte di ciascuno di noi, me compreso, ogni giorno, la consapevole presa di coscienza del fatto che la soglia di porta Faul non segna i confini del mondo.

E’ noto che la sua posizione è quella di puntare su alcuni eventi culturali che siamo qualificanti piuttosto che “distribuire” risorse anche per sostenere iniziative minori. E’ questo il motivo per il quale intende passare dal bando per la cultura alle singole convenzioni? Cosa cambierebbe?

Questa decisione consentirebbe alle realtà in crescita, come pure a quelle realtà già adulte ma le cui disponibilità economiche e, per conseguenza, le cui capacità di programmazione sono in sofferenza perché in attesa, ogni anno, delle decisioni e dei tempi a volte biblici dei meccanismi amministrativi, di avere la certezza di un gruzzolo su cui contare e grazie al quale poter cominciare a immaginare una programmazione triennale e lungimirante. Il nostro regolamento è al momento particolarmente stringente: chiede dieci anni di presenza sul territorio e almeno trentamila euro di investimento sull’evento per cui si chiede di essere messi in convenzione. Se il Consiglio Comunale sarà dell’opinione, mi piacerebbe allargarne un poco le maglie ovviamente immaginando una forma di contributo meno importante di quello riservato a chi, al momento, ottempera alle attuali condizioni regolamentari e altrettanto ovviamente subordinando la scelta dei destinatari degli eventuali contributi a una procedura di evidenza pubblica.

La vita culturale della città è densa di eventi legati alla tradizione che hanno spesso un carattere locale di grande profondità, adesso che il Comune è in competizione per la candidatura a Capitale europea della Cultura 2033, quale è la strategia per far assumere una dimensione internazionale a questa identità cittadina?

Il processo di candidatura, che è ancora in culla, è esso stesso motore che rema verso una direzione internazionale. Già oggi esistono sul territorio realtà culturali che interagiscono in maniera fruttuosa con altrettante realtà europee. Un nome per tutti? Quartieri dell’Arte. Non si deve però pensare che per aggiudicarsi il titolo bisogni dimostrare di essere una realtà che abbia già una dimensione internazionale, altrimenti Berlino sarebbe capitale europea della cultura a vita. L’istituzione premia invece il progetto più valido che remi verso questa direzione, e che lo faccia applicando una metodologia che metta in rete tutti gli agenti del territorio sia culturali che imprenditoriali che politici. E’ un progetto a tutto campo che non può, anzi non deve, essere gestito direttamente dall’Amministrazione ma da un soggetto terzo massimamente partecipato in cui l’Amministrazione dovrà certamente far la sua parte. Stiamo lavorando alla costituzione di questo soggetto. Concluso questo passo, sarà questo soggetto a individuare la strategia di cui lei parla.

Il progetto per il Centro di produzione teatrale deve essere considerato ormai archiviato?

Si va avanti, a piccolissimi passi, restando in attesa di un cenno di vita da parte delle realtà imprenditoriali che pure già collaborano alla vita culturale della città. Mi auguro che credano nelle potenzialità del teatro Unione come moltiplicatore di cultura e di economia così come accade in ogni città che abbia avuto il coraggio di rendere il proprio teatro un centro produttivo.

Comune di Viterbo

image_pdfEsporta in PDFimage_printStampa la pagina
Condividi con:
LEGGI TUTTE LE NOTIZIE