Uto Ughi-Maneskin, una polemica motivata?

di CINZIA DICHIARA-

Chi siano i Maneskin non c’è alcun bisogno di spiegarlo, visto che questi ragazzi sono ascesi all’Olimpo del rock posizionandosi in vetta alle classifiche mondiali, a quanto pare per la loro capacità di interpretare le istanze della società attuale soprattutto presso i giovani, mediante scelte musicali forse discutibili ma in ogni caso di straordinario successo. Al contrario, chi sia Uto Ughi, nonostante la sua vasta notorietà, dapprima di bambino prodigio e in seguito di violinista celebrato, è necessario spiegarlo a molti individui, una moltitudine, quasi la massa, per dirla con un lessema che oggi potrebbe essere rigettato in ossequio al political correct. Infatti, per conoscere la qualità artistica del maestro occorre un approccio alla musica cosiddetta classica, definita musica d’arte con un termine che si va imponendo, senza il quale non solo è improbabile incontrare sulle proprie rotte un simile interprete ma inoltre si rischia di trascurare tutto un ambito musicale, che costituisce un secolare patrimonio di bellezza la cui fruizione oggi è un diritto culturale di tutti.

Ora, l’episodio della disputa che contrappone il virtuoso del violino al trasgressivo gruppo musicale, oltre ad aver destato clamore e commenti, i più disparati, sui quali pur plaudendo alla valentìa di Ughi non ci soffermeremo, ha avuto il merito di attrarre l’attenzione su una questione rilevante che riguarda la preparazione musicale degli italiani. Dunque, onde tentare di inquadrare la situazione, pare congruo innanzitutto considerare l’assetto dell’insegnamento della musica nel nostro paese, poiché è da questo che prende le mosse l’alfabetizzazione musicale.

A tale fine c’è da dire subito che numerosi musicisti e in genere coloro che abbiano svolto studi in conservatorio o gli appassionati di musica lirica o sinfonica che gravitino intorno al mondo musicale colto, lamentano che nel nostro paese, il paese del melodramma, del belcanto e del teatro lirico, l’insegnamento della musica sia insufficiente, disdegnato o del tutto assente. Costoro reclamano l’inserimento degli studi musicali nell’istituzione scolastica fin dalla materna, affinché il futuro cittadino venga dotato di una formazione comprendente un insegnamento fondamentale per lo sviluppo completo e armonico della persona, e come dargli torto?

A ben vedere, infatti, accade regolarmente che nel bagaglio culturale dell’italiano medio possano rientrare la poesia di Giosuè Carducci, la pittura di Leonardo da Vinci, l’architettura di Francesco Borromini ma è piuttosto naturale e consueto che si abbia ridotta familiarità con una qualsiasi composizione di Wofgang Amadeus Mozart o Fryderyk Chopin. Ora, pazienza se sia poco frequente il nome di Domenico Cimarosa, autore di un’opera buffa, più esattamente un dramma giocoso, come Il Matrimonio Segreto, modello per eccellenza dell’opera napoletana del ‘700, e niente di grave se alla maggior parte sfugga la nozione ad esempio del melodramma Carmen, capolavoro operistico di Georges Bizet del quale magari più di qualcuno canticchia sotto la doccia i motivi più frequentemente ricorrenti così come avviene per alcuni popolarissimi temi verdiani o pucciniani, tuttavia se esiste una letteratura classica che da sempre viene studiata, altrettanto esiste una musica classica tutta da scoprire.

Fortunatamente, se andiamo a verificare la presenza dell’educazione musicale nel curriculum scolastico nazionale, a tutti consta come questa sia inclusa nel piano programmatico della scuola dell’obbligo, in particolare come insegnamento curriculare nella scuola secondaria di primo grado, nella quale assume una valenza significativa poiché rivolta a un bacino d’utenza globale. Difatti dalla scuola media transita l’intera popolazione scolastica nazionale, prima di dividersi a seconda dell’indirizzo prescelto per la prosecuzione degli studi ed è in tale fase dell’apprendimento che può essere decisivo avvicinarsi a una disciplina come la musica per maturare un interesse da coltivare in futuro e guadagnare un minimo bagaglio di conoscenza, almeno la cosiddetta infarinatura che consenta di non essere del tutto privi di un ancoraggio artistico-musicale canonico.

Più precisamente, presso la scuola secondaria di primo grado lo studio della musica è codificato da tempo e, anzi, attraverso riforme passate, esso può beneficiare ormai da diversi decenni anche di un indirizzo facoltativo specificamente musicale che permette agli allievi ammessi di apprendere la pratica di uno strumento e acquisire cognizioni musicali di base che, se ben assimilate, dovrebbero far sì che non ci fossero problemi nel conoscere, seppure sommariamente, una quinta sinfonia di Ludwig van Beethoven e tantomeno qualche famoso direttore d’orchestra, altresì cantanti, gruppi da camera, o solisti del calibro di Uto Ughi. E sì, perché laddove sia stato istituzionalizzato un sapere, il legislatore ha posto attenzione affinché esso venga impartito secondo un piano didattico molto attento ai bisogni culturali dell’utenza.

Quindi, se i ragazzi di oggi sanno benissimo chi siano i Maneskin, avendo confidenza con tutto ciò che di musicale attiene al loro contesto di vita, dai cantanti loro beniamini alla musica che arreda negozi, supermercati e centri commerciali nella quale tutti siamo immersi di continuo, più che riproporre in classe musichette standardizzate, jingle, arrangiamenti leggeri e trascrizioni di canzoni, che comunque possono costituire parte dei contenuti di apprendimento, ai docenti viene affidato il compito di arricchirne il bagaglio culturale per consentire ai giovani di avvicinarsi ai grandi maestri del pensiero musicale.

Così come viene insegnato da sempre a leggere di poesia e di prosa ponendo gli allievi di fronte a un testo di Leopardi o una pagina di Manzoni, altrettanto si cerca di spiegare loro, certamente solo per grandi linee e per concetti basilari, brani del repertorio d’arte scelti tra sinfonie, messe cantate o pezzi lirici. Analogamente, chi si applichi in modo specifico allo studio di uno strumento viene posto nell’agio di avvicinarsi alla letteratura strumentale originale degli autori della consolidata tradizione musicale che spesso hanno scritto pagine accessibili ai principianti, basti pensare all’Album per la Gioventù op. 68 di Robert Schumann o ad alcuni pezzi facili dell’op. 39 e dell’op. 27 di Dmitrij Kabalevskij, oppure ai due volumi For Children di Béla Bartók, pagine che nei ragazzi opportunamente guidati procurano non poche gioie e soddisfazioni.

D’altro canto non sembri pleonastico affermare che il docente, attualmente più che mai sotto tiro per una serie di cambiamenti intervenuti a rendere davvero problematico operare talora in contesti difficili, assume una forte responsabilità educativa, tutta quella che il ruolo richiede, ed è chiamato pertanto a scegliere con oculatezza gli argomenti da porgere all’attenzione dei ragazzi. In quanto operatore socio-culturale questi si adopera per presentare e far amare il linguaggio, lo stile e i contenuti di autori immortali, con la consapevolezza che gusti, inclinazioni e preferenze dei giovani vanno sostenuti e aiutati, compito non facile in un mondo in cui i ragazzi vivono e respirano in tutt’altro humus culturale rispetto al mondo della musica classica, ma forse per questo stimolante. Sta sempre agli educatori infatti condurre gli allievi verso l’arte; essi sono desiderosi di apprendere e assorbono come spugne, e lo studio deve appassionarli e spingerli al desiderio di conoscenza e all’amore per la bellezza. Il che equivale a far comprendere che non è l’arte a venire da noi ma siamo noi che dobbiamo andare all’arte, cosicché per divertirsi con la musica occorre studiarla, applicarsi e dedicarvisi. Un plauso dunque a tutti i docenti che quotidianamente creano strategie, predispongono piani didattici e si adoperano alacremente per i nostri giovani.

In definitiva, guardando all’intera popolazione scolastica, senza considerare indirizzi specifici come il Liceo Musicale e il Conservatorio, le ore di musica a scuola sono garantite a tutti, almeno in quella fascia di crescita decisiva per il discente. Di questo passo è infine auspicabile per un futuro prossimo che il percorso di apprendimento musicale d’arte sia ampliato ed esteso anche alle scuole superiori, dando la possibilità ai cittadini del domani di poter disporre di un bene dello spirito che risponde ai nomi di Schubert e Schumann, Liszt e Brahms così come ai nomi di Bach e Mahler e l’elenco potrebbe continuare ad libitum, finalmente sottraendoli a quella nicchia elitaria nella quale permangono da secoli.

In tal modo andrà a formarsi il pubblico delle sale da concerto, oggi essenzialmente costituito da persone agé, che sarà in grado di conoscere a apprezzare senza problemi anche la finezza esecutiva del maestro Uto Ughi, il quale gode di considerazione e rispetto innanzitutto per aver rivestito il ruolo di interprete della grande musica entrando dalla porta principale, quindi per essersi impegnato a lungo quale protagonista di livello, onorato anche dalla collaborazione con grandi nomi del concertismo internazionale: e tutto questo è già storia.

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