Valentano, una terrazza naturale sul Lago di Bolsena

di DANIELA PROIETTI –

VALENTANO ( Viterbo) – Una naturale e splendida terrazza sul Lago di Bolsena”, così ci presenta il comune che amministra, Valentano,  da oramai due anni, il giovane e cordiale Sindaco Stefano Bigotti.

Il primo cittadino ha preso in prestito la frase, come da sua stessa ammissione, da un illustre personaggio che soggiornò nella cittadina a nord di Viterbo e al confine con la regione Toscana nel 1843, l’etruscologo inglese George Dennis che, giunto in  terra di Tuscia alla ricerca dei segni che lasciarono i nostri padri, ebbe occasione di scrivere del borgo, attualmente abitato da 2897 abitanti (stando all’ultimo censimento).

Valentano indossa abiti diversi, a seconda delle stagioni, dei giorni della settimana, delle ore che segnano lo scorrere del tempo.

“Di domenica si sente il rumore del silenzio”, questa è la giusta osservazione riferita da Sabrina, la gentilissima esperta e addetta museale che ci tiene compagnia durante la nostra visita.

Confermo. Sono capitata tante volte in paese, senza mai soffermarmi. Molte di queste visite le ho fatte di domenica e, complice la vicinanza ai laghi di Bolsena e di Mezzano, al mare, di cui si vede l’argentea distesa, e alle montagne, che con il loro aspro profilo costituiscono lo sfondo al bacino lacustre, sono poche le persone, e soprattutto le auto, che circolano per le strade.

Al mattino di un normale giorno lavorativo, invece, il silenzio non fa rumore, anzi, è rotto dal vociare degli abitanti e dei villeggianti, magari nati nel borgo e trasferitisi altrove per motivi di lavoro, che scelgono di popolarlo durante la stagione calda godendo, così, dell’aria fresca che  continuamente spira grazie alla posizione e all’altitudine, circa 540 metri slm, che ne fanno uno dei comuni più elevati della provincia, posto sulla catena dei Monti Volsini.

Per giungere da  Viterbo a Valentano, si percorre la strada Commenda e si risale, dopo aver oltrepassato la deviazione per il Monte Bisenzio, lungo la Strada Verentana.

Il primo edificio che ci ha accolti, è il Santuario della Madonna della Salute. Secondo la tradizione, il santuario, ebbe origine nel XV secolo, dopo che il brigante Francesco Portici, si costituì e scelse come luogo in cui trascorrere il proprio esilio la collina su cui oggi si erge il complesso ecclesiastico.

La nuova condizione che si trovò ad affrontare, fece sì che il brigante avesse una vera e propria conversione, tanto radicata al punto che egli decise di edificare una piccola cappella costruita con delle pietre.

Sempre secondo la tradizione, al centro venne posta un’immagine di Maria con in braccio il Bambino Gesù. Tale icona fu soprannominata “La Madonna del Cecchino”, diminutivo, appunto, di Francesco il brigante.

Tante le genti che lì si recano in pellegrinaggio, sebbene, dopo la sua morte, il romitorio si avviò verso un lento processo di decadenza.

Durante i primi anni del secolo successivo, gli Agostiniani trasformano quella disadorna costruzione in un santuario e, nel 1708, divenuto oramai un complesso chiesa convento, vi si insediano i Frati Minori. Col passare del tempo la Madonna, la cui denominazione divenne prima “della rosa” e poi “della salute”, elargì numerose grazie, e fece in modo che il numero delle vocazioni avesse un forte incremento.

La storia narra che, per intercessione della Vergine Maria, la popolazione valentanese sopravvisse alla carestia, alla peste e ai pericoli derivanti dalle due guerre mondiali. Va rilevato, inoltre, che molti dei Frati Minori  percorsero e raggiunsero la via della santificazione all’interno del Santuario.

Il Monte Starnina, da cui viene puntualmente prelevata la terra rossa con cui si foraggiano i campi da tennis, si eleva alle porte del paese, segnando il passo a quella collina che si contrappone ad esso e su cui è alloggiato il vecchio paese in cui, con nostra grande sorpresa e ammirazione, abbiamo scoperto dimore storiche, palazzi di pregio, chiese e un museo che conoscevamo di fama, per essere un enorme contenitore di reperti preistorici, ma di cui non immaginavamo lontanamente la portata e il valore espresso dal palazzo che lo ospita.

Quando si va per paesi, la curiosità ci spinge a girovagare senza meta, alla ricerca di un elemento o un’immagine che ispiri una storia da raccontare. A Valentano, ci si sente attratti dal panorama che, letteralmente, la circonda, vista la sua posizione attorniata da paesaggi variegati che lo rendono un borgo unico nel suo genere.

Parcheggiamo la nostra automobile al di sotto di Porta Magenta, detta “Porta del Vignola” (Jacopo Barozzi, manierista n.d.r.) o, più comunemente “Porta del Mascherone”, facendo riferimento alla faccia da cui esce prepotentemente la lingua scolpita sulla propria sommità.

In realtà la porta andò a sostituire  la vecchia Porta Romana, crollata nel 1779, che venne eretta da Papa Martino V Colonna nel 1417. L’uso del nome del Vignola, quindi, stando alle date,  ci sembra inappropriato.  L’iscrizione in marmo riporta il nome di Papa Pio VI e la data del 1770. Questo, uno dei misteri che non siamo riusciti a svelare.

Abbiamo risalito la via verso Piazza Cavour fino a giungere al Palazzo Comunale, sorto in epoca rinascimentale, sebbene abbia subito dei lavori di restauro nel corso del 1700. All’ingresso, un piccolo portico a tre archi, all’interno del quale fanno mostra di sé alcuni stemmi: quello di Valentano (risalente al XV secolo), quello di Papa Martino V Colonna e lo stemma della famiglia Farnese che tanta importanza ha avuto nella storia del paese. Tra i blasoni  sopracitati, si evidenzia una targa a Giuseppe Garibaldi e un’effigie in marmo contenente i nomi  dei molti soldati autoctoni caduti durante la Grande Guerra.

Dopo aver osservato quel breve tratto della cittadina che stavamo visitando con i nostri famelici occhi, che riescono a saziarsi soltanto dopo essersi posati su ogni grande struttura e su ogni minimo particolare, abbiamo fatto un fortunato incontro con una graziosissima agente della municipale.

Gentile e ben disposta, si è immediatamente attivata per fornirci notizie e farci accompagnare dalla dott.ssa Sabrina Radicati alla scoperta di quanto non immaginavamo neanche lontanamente.

Sabrina, l’addetta museale, che si è autodefinita “un’antropologa non praticante”, grazie alle sue grandi competenze e ad una piacevole ed esaustiva narrazione, ha fatto sì che attraversassimo due millenni nello spazio di una mattinata.

“La struttura originaria di Valentano, cresciuta attorno a quella che da guarnigione è poi divenuta la Rocca Farnese, era segnata dalle due porte di accesso, contrapposte tra loro: la già citata Porta Magenta e Porta San Martino che si affaccia direttamente sul lago. A destra e a sinistra, il paese era protetto dai suoi confini naturali, costituiti da due dirupi, che ostacolavano qualsiasi tipo di ingresso non controllato.

La guarnigione, ospitava una torre di avvistamento, eretta alla fine del XIII secolo e che si innalza per circa 26 metri”.

Al momento non è visitabile, ma dal torrione, nei giorni in cui l’orizzonte è nitido, è possibile scorgere il profilo dell’Isola di Giannutri.

Un ponte levatoio collegava la guarnigione al resto del territorio” continua Sabrina “La famiglia Farnese, nel 1354, dopo aver aiutato la Chiesa nella riconquista dopo la cattività avignonese, ottenne dal Cardinale Albornoz le chiavi dello stabile. La struttura venne ingrandita e ne fu fatto un palazzo in cui si svolsero alcune vicende che segnarono la storia di una delle famiglie più importanti del Rinascimento.”

Ci viene indicato il cortile centrale del palazzo, detto “Cortile dell’amore”. Nell’ epoca precedente a quella farnesiana, in quel luogo vi erano degli appartamenti che vennero poi abbattuti per creare un ampio spazio aperto.  Al suo interno, nell’anno 1488, fu celebrato il matrimonio tra Angelo Farnese e Lella Orsini che suggellò l’unione tra due delle più importanti famiglie dell’epoca.

La costruzione, apprezzabile sia esternamente che negli interni, affrescata e valorizzata da strutture architettoniche di pregevole interesse e valore, attualmente ospita il Museo della Preistoria della Tuscia e della Rocca Farnese (https://www.facebook.com/MuseoDellaPreistoriaDellaTusciaEDellaRoccaFarnese/ , contatto telefonico 0761420018 e-mail museo.valentano@alice.it ).

Il museo contiene una vasta collezione di reperti archeologici databili dal Paleolitico alla prima Età del Ferro e provenienti dall’intero territorio della Tuscia, tra questi, il Lago di Mezzano, le campagne di Valentano, Cerveteri e Bolsena. Al suo interno si possono ammirare una zanna d’elefante ritrovata a Tuscania, ossa di elefante appartenenti a Grotte Santo Stefano, chopper e amigdale (primi elementi lavorati dall’uomo),  spade votive, gli scheletri di due adolescenti nella posizione tipica di sepoltura, ciottoli incisi dissotterrati nel territorio di Ischia di Castro e reperti del villaggio di palafitte situato sul Lago di Mezzano.

 Si stima che sia secondo, nel Lazio, soltanto al Museo Pigorini di Roma, il più importante museo preistorico italiano.

Ma nelle spaziose stanze del palazzo sono conservate anche le ceramiche ritrovate nei butti, nelle cantine e a ridosso delle ripe, appartenenti alla nobile famiglia.

Una delle particolarità, forse quella più rilevante, è costituita da una Tavoletta Enigmatica, realizzata durante l’Età del Bronzo, di cui non si riconosce la funzione. Ritrovata nella zona del Vallone, nella Caldera di Latera, è ipotizzabile che contenesse dei codici o fosse una specie di bolla di accompagnamento delle merci. Il fatto certo è che, dopo l’utilizzo, queste tavolette venissero spezzate. Oltre a questa, originale, nella teca in vetro ne sono esposte altre, riprodotte.

In una delle sale del museo è possibile osservare una canna in ferro originaria della distrutta Castro, che rappresentava l’unità di misura per terreni, o per le pezzature di lana e tela.

Al primo piano del palazzo, una piccola porta introduce in un luogo spettacolare e che, onestamente, mai avremmo pensato di ammirare: l’ambiente in cui si snoda la Scala Santa.

Non fu realizzata in epoca farnesiana, ma in un tempo successivo, quando un’ala del palazzo divenne monastero. Fu desiderio delle suore riproporre, sebbene in proporzione minore  la Scala Santa presente nella Basilica di San Giovanni in Laterano, a Roma. Essa, difatti, è orientata nella stessa posizione ed è composta dallo stesso numero di gradini dell’originale. Ovviamente gli affreschi, che riportano scene della Passione di Cristo, essendo stati realizzati da pittori locali, non sono pregevoli come quelli della scala capitolina. Si ipotizza che, per ornare le pareti, furono coperte le precedenti pitture cinquecentesche e che le mura, prima ancora, fossero ornate da arazzi e quadri.

Le suore, in segno di devozione, salivano le scale in ginocchio recitando le Ave Maria del Rosario.

Dialogando con Sabrina, il discorso cade su un fatto storico documentato che, tradizionalmente, ha segnato un punto di rottura tra Valentano e la città di Viterbo. L’evento risale alla fine del XII secolo, allorché il piccolo comune si rifiutò di elargire una quota per il carnevale della città. Fu fatta battaglia e, con atto simbolico, i due comuni si sono “idealmente” riappacificati durante l’ultima edizione del carnevale viterbese (Febbraio  2020).

Con un sorriso, la nostra accompagnatrice ammette che Valentano non è nuova ad atti del genere, tantoché, a seguito dell’uccisione di Monsignor Gedda(uno dei sicari era un valentanese), da cui scaturì la guerra di Innocenzo X contro la famiglia Farnese e la successiva cancellazione della ricca e sontuosa città di Castro, Valentano venne scomunicata. Secondo uno storico del paese, non si sa se la scomunica sia mai stata revocata.

Gli ultimi due gioielli, ma soltanto in ordine di tempo, che abbiamo avuto il piacere di visitare, sono stati il Salone Ducale, all’interno del quale spicca un grande camino disegnato da Antonio da Sangallo il giovane, artefice di numerose opere negli edifici dei paesi circostanti, e la stanza contenente la collezione privata di Monsignor D’Ascenzi, vescovo di san Sepolcro e Cortona, ricca di reperti etruschi. Il vano in cui è alloggiata, ospitò la cella di rigore per gli zuavi pontifici durante il periodo dell’Unità d’Italia. Essi lasciarono disegni, scritte e descrizioni di ciò che vedevano dalla finestra.

Usciamo da questo museo nel museo, e andiamo a goderci l’aria frizzantina che soltanto in un paese arroccato a quasi 600 metri slm è possibile respirare. Ci inoltriamo per le vie assolate, ammiriamo palazzi e dimore storiche, chiese, come quelle di Santa Maria, di San Giovanni e di Santa Croce impreziosita da un affresco di scuola umbro marchigiana. Raggiungiamo lo splendido belvedere appena fuori la Porta di San Martino e, assaporando un ottimo aperitivo, pensiamo al nostro pranzo in cui gusteremo il tipico agnello al bujone, protagonista di una sagra, premiata al Senato della Repubblica dall’Associazione Nazionale Pro Loco come unica sagra di qualità del Lazio, il tortello valenanese, ripieno di ricotta e di tanti ingredienti segreti e l’ottimo gelato che chiuderà il nostro desinare.

Diamo un ultimo sguardo alla vallata, e andiamo con la mente alla “Tiratura del solco dritto”, operata da un aratro trainato dai buoi, una tradizione che si svolge ogni anno il 14 di agosto.

Ammiriamo i vasti campi dal color giallo paglierino, l’azzurro del lago che si fa grigio come il cielo quando si copre di nuvole, il celeste tenue del mare adombrato dalla foschia e il grigio delle montagne.

Ci lasciamo cullare da questo caleidoscopio naturale pensando alla meta successiva che andremo a visitare. Dobbiamo chiudere un cerchio, e il percorso è quasi compiuto.

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