di MARIA ANTONIETTA GERMANO –
VITERBO – La Biblioteca Consorziale di Viterbo fa l’en plein della settimana con posti in piedi nella Sala conferenze per il penultimo incontro della rassegna “Elogio della poesia” (18 gennaio-30 marzo 2017) che ha avuto ieri, 22 marzo, come ospite lo straordinario poeta Valerio Magrelli, coadiuvato da Carlo Serafini e dalla ideatrice del progetto Elvira Federici. La sua poesia è definita civile, intellettuale, di conoscenza, e offre quantità di spunti e riflessioni.
Magrelli arriva in biblioteca con passo deciso e con un po’ ritardo causa treno, tirandosi dietro un piccolo trolley. Alto, di aspetto piacevole, capelli rossicci e brizzolati e occhi che guardano curiosi dietro le lenti, sul viso sorridente. L’applauso che lo accoglie sembra imbarazzarlo, ma poi lo accetta compiaciuto. Si siede al tavolo dei relatori cosparso da molti suoi libri. E dopo qualche domanda posta da Carlo Serafini si avvia alla narrazione accademica e filosofica raccontando di sé, delle sue opere poetiche con citazioni di grandi autori.

“Ho avuto un percorso sgangherato, dovevo fare l’architetto, per fortuna non l’ho fatto – racconta Magrelli – Ad architettura non mi accettano, mi sono laureato in Storia della filosofia, ho studiato Storia del cinema e brancolando sono arrivato ad insegnare Letteratura francese. La mia conoscenza degli scrittori italiani è quella del liceo. Della tecnologia mi colpisce la precarietà”.
E regala pillole di saggezza sul libro. “Non ho il mito dell’originalità. Il libro deve testimoniare di un disorientamento. Deve chiedere aiuto quasi si fosse disperso; il suo valore consiste di non esser assimilabile all’antecedente. Un libro nuovo deve essere alieno, estraneo e un orfano dell’opera che lo ha preceduto, orfano dell’autore, così come fino a quel momento si è configurato. Un libro nuovo deve inventarsi l’autore. Un libro nuovo chiede all’autore del libro precedente di accoglierlo, di riconoscerlo come un figlio legittimo. Il libro se è nuovo è un bastardo che chiede l’adozione, chiede il diritto di portare il nome del vecchio autore, aspira al patronimico dell’autore”.

E parla dei suoi libri. Il primo è celebrale, petrarchesco, meditativo, monolitico; il secondo è stereoscopico, si apre al senso della frattura, della tecnologia, parla di guasti e difetti (oggetti). Il terzo libro è definito ornitorinco. Che cosa significa, è la domanda di Serafini. “Ho scritto un libro di poesie – spiega il prof Magrelli – dove per la prima volta apparivano delle prose; ci sono prose, poesie e per la prima volta ho inserito una sezione dedicata alla traduzione, mettendo delle poesie che avevo tradotto, senza quella originale, in qualche modo sentivo di potermene appropriare. Ornitorinco è come un minestrone con generi diversi”.
E spunta la parola collaudo, collaudo dei propri lavori, lo fanno molti scrittori prima di arrivare alla pubblicazione e il poeta Magrelli approva: “L’elemento della manipolazione, del bricolage è per me fortissima. Invece la poesia è non avere nulla prima, scrivere un verso e non sapere quello che sarà il successivo, un brancolare nel buio. Stai andando verso qualcosa che esiste ma non sai dove si trova”.

Vittorio Magrelli continua nella sua brillante narrazione, interrotta dalla lettura di alcune significative poesie: “Studente non politicizzato (ero del Manifesto) covavo trasgressione, sport e poesia. E’ emerso un mio lato civile e, con la vecchiaia, quello di bastian contrario. Mi sono formato sul poeta molto petrarchesco Fracis Ponge, poeta supremo. Sono cresciuto mentre c’era il delitto Moro e quando è venuta l’Italia da bere, sono diventato brechtiano. La scrittura, tra le varie qualità, ha anche quella di essere rilevativa nei confronti di chi la produce”. E cita una frese di Sanguineti: La poesia è una forma di antipatia, di reazione al reale.
Il passaggio tra poesia e prosa. “Ho provato a scrivere in prosa, paradossalmente era il problema dei nomi. Gianni Celati mi chiese dei racconti per il Manifesto e mi sono sbloccato con due racconti nei quali trovai la via di uscita da questo blocco, raccontare cioè non le storie degli altri ma le mie”.
Inutile dire che al termine della serata è stato sommerso dagli applausi.

NOTA – Valerio Magrelli è nato a Roma nel 1957, ordinario di letteratura francese all’Università di Cassino, si è occupato di avanguardie (Profilo del Dada, Lucarini 1990, Laterza 2006), Joseph Joubert (La casa del pensiero, Pacini 1995, 2006), Paul Valéry (Vedersi vedersi, Einaudi 2002, 2010, l’Harmattan 2005) e Baudelaire (Nero sonetto solubile, Laterza 2010). Ha diretto la collana di poesia “La Fenice” Guanda e la serie trilingue “Scrittori tradotti da scrittori” Einaudi (Premio Nazionale per la Traduzione 1996). Nel 2002 l’Accademia Nazionale dei Lincei gli ha attribuito il Premio Feltrinelli per la poesia italiana. Ha pubblicato sei raccolte di versi (ultima delle quali Il sangue amaro, Einaudi 2014), un ciclo di quattro volumi in prosa (concluso con Geologia di un padre, Einaudi 2013) e i saggi-racconto Che cos’è la poesia? (libro e cd, Sossella 2005, Giunti 2013), Il Sessantotto realizzato da Mediaset (Einaudi 2011), La lingua restaurata (Manni, 2014) e Lo sciamano di famiglia (Laterza 2015).Sempre del 2015 è l’antologia Millennium poetry (il Mulino).