Vi racconto la mia gravidanza al tempo del Covid-19

MILANO – “Vi racconto la mia gravidanza ai tempi del Covid-19”. Camilla D’Angeli, dipendente RAI a Milano, incinta al nono mese, racconta a SuperAbile la sua esperienza al tempo del Coronavirus. Conosciuta qualche anno fa in occasione di un’intervista concessa all’associazione del presidente Alfredo Boldorini, rilasciata a Radio 1, per la giornata della disabilità, Camilla, non solo ha mantenuto un ottimo rapporto a distanza, ma, oggi ha scelto di testimoniare al sodalizio viterbese il suo particolare momento.

“Il 21 febbraio è stato un venerdì sera anomalo – ricorda Camilla -. Il primo caso di contagio da Covid-19 era arrivato anche in Italia. Devo essere sincera: malgrado fossi in dolce attesa non mi sono allarmata più di tanto anche se il paese di provenienza del contagiato era a solo 60 km da qui. Il 9 marzo mi sono alzata e preparata per andare al lavoro. Sono uscita, sono arrivata in Rai e dopo nemmeno due ore mi ha contattata il capo dicendomi che sarei stata messa in smart working e di recarmi subito a casa. Le sue direttive sono state confermate dal giorno dopo quando mi hanno consegnato il pc portatile, mi hanno spiegato come collegarmi da remoto nel portale e come poter utilizzare i vari programmi. Da martedì 10 marzo è iniziata ufficialmente la mia quarantena, che, ovviamente, ancora continua. Sarò uscita di casa si e no un paio di volte, solo ed esclusivamente per recarmi in Ospedale a fare gli accertamenti necessari per la mia bambina. Non nego che, non trovare nessuno sul percorso che ho effettuato a piedi per recarmi lì, un po’ di ansia addosso me l’abbia messa. A pensarci a mente fredda, sembra quasi di trovarsi in un’altra realtà, niente a che vedere con la Milano che tutti conosciamo: caotica, sempre piena di gente in giro a qualsiasi ora sia del giorno che della notte, incasinata ma in ordine, colorata, viva. I primi giorni in cui sono stata a casa credo di non essermi fermata nemmeno un istante: ho subito creato una “tabella di marcia” per suddividermi, nell’arco della settimana, tutte le faccende da svolgere: lavare i bagni, passare l’aspirapolvere, lavare per terra in casa e sul terrazzo, mettere apposto gli armadi, sistemare la cucina, lavatrici e lavastoviglie, spolverare, riorganizzar e cucinare: una delle mie più grandi passioni che mi fa rilassare e mi rende felice quando riesco a fare quello che voglio proprio come ho immaginato che sarebbe venuto. Ma poi, dalla seconda settimana rinchiusa in casa, mi sono pian piano iniziata a spegnere e ho iniziato a capire che, anche avendo grande spirito di iniziativa, il “peso” delle 35 settimane di gravidanza si facevano sentire e dovevo pensare anche un po’ a lei e non solo a svagarmi. Così, riposarmi è diventata una priorità. Aggiornarmi spesso e volentieri della situazione attuale di questa pandemia mi faceva sentire partecipe di tutto ciò che stava accadendo “fuori”. Sentire gli altri e sapere che stavano tutti bene, una garanzia. Avere notizie di conoscenti che, purtroppo, erano stati contagiati, un modo di auto convincimento che stare tranquilla in casa senza smanie di dover uscire a prendere aria fosse la priorità. E poi, ricordiamoci sempre che io ho un terrazzo! Sono fortunata! Quindi l’aria la prendo quando ne ho più voglia, aprendo semplicemente la porta-finestra. Sono passate 3 settimane da quando è scoppiato il Coronavirus. La situazione sembra migliorare (anche se le notizie non sono ancora così positive come tutti speriamo). Nel frattempo, il Governo ha firmato non so quanti decreti, sono state cambiate non sono quante autocertificazioni, è passato il mio compleanno, non so quante videochiamate ho fatto e ricevuto (credo di aver usato la videochiamata solo con il mio amico che vive in Australia prima di questa situazione!), mi sono comprata una scopa per lavare il parquet con un liquido adatto incluso, ho deciso che leggere libri su come educare la piccolina sia un modo per esorcizzare questa routine (anche se già so che quando mi serviranno sul serio quei consigli, non me ne ricorderò nemmeno uno!), mi sto rendendo conto di quanto mi manchino i miei genitori e ora so per certo che io e il mio compagno facciamo bene a sposarci perché non abbiamo mai – e lo sottolineo – litigato eppure conviviamo in questa casa da circa 21 giorni 24 ore su 24 senza mai separarci se non per fare la spesa! Strano eh? Eppure, succede! E se è successo a me, vi assicuro che potrebbe succedere a chiunque! Specie col caratterino che mi ritrovo!
L’unico consiglio che mi sento di dare è quello di non abbattersi: a volte capita di svegliarsi al mattino e non avere nemmeno la voglia di alzarsi dal letto, di vestirsi, di sistemarsi: “tanto devo stare in casa” è la frase che viene da ripetersi. Ecco, è proprio questo atteggiamento verso noi stessi e la nostra vita che non ci porta da nessuna parte. Bisogna reagire, a prescindere. Alzarsi, sorridere alla vita, darsi un tono seppur dentro casa e trovare qualcosa da fare (anche un cruciverba, non dico di dover costruire un mobile!) ci sprona ad essere positivi e reattivi. Ed è proprio questo che dobbiamo fare – conclude Camilla D’Angeli -: essere positivi, nonostante questo aggettivo ultimamente sia stato strumentalizzato a favore di una patologia che andrà sicuramente esaurendosi e reattivi al bombardamento mediatico negativo”.
E adesso, scusatemi. Mi vado a preparare a vivere un nuovo giorno: di quarantena, in casa. Ma sempre di un nuovo giorno della mia vita si tratta!

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