VITERBO- Alta tensione, nel pomeriggio, nella Casa circondariale di Viterbo. “Ancora aggressioni nel carcere di VITERBO”, denuncia Maurizio Somma, segretario per il Lazio del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria: “nel tardo pomeriggio, per cause ancora da accertare, nel Reparto giudiziario del carcere di Viterbo Nicandro Izzo due detenuti di origine magrebina hanno aggredito il poliziotto di sezione con schiaffi e pugni in pieno volto. Il tutto sembrerebbe per un rapporto disciplinare fatto dal poliziotto ad uno dei due detenuti, fatto poi scoperto essere non vero. Il poliziotto è stato portato al Pronto soccorso di Viterbo per le cure del caso e i detenuti. non contenti ancora, hanno ingoiato le lamette e anche loro sono stati portati al pronto soccorso”. Somma tuona: “gli agenti che lavorano al Mammagialla sono stanchi di subire continuamente aggressioni, sono stanchi di dover gestire un numero così alto di detenuti violenti con così poco personale!”.
“Il SAPPE”, commenta Donato Capece, segretario generale, “esprime vicinanza e solidarietà ai colleghi feriti ed esprime il proprio compiacimento al Personale che ha operato, a riprova della professionalità e attaccamento al dovere delle donne ed uomini della Polizia Penitenziaria del carcere di Viterbo, vero “carcere di frontiera” per le critiche condizioni operative e strutturali in cui versa”. Il leader del SAPPE conclude ricordando che “sono decenni che chiediamo l’espulsione dei detenuti stranieri, un terzo degli attuali presenti in Italia, per fare scontare loro, nelle loro carceri, le pene come anche prevedere la riapertura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari dove mettere i detenuti con problemi psichiatrici, sempre più numerosi, oggi presenti nel circuito detentivo ordinario. Ma servono anche più tecnologia e più investimenti: la situazione resta allarmante, anche se gli uomini e le donne della Polizia Penitenziaria garantiscono ordine e sicurezza pur a fronte di condizioni di lavoro particolarmente stressanti e gravose”. “Basta! Siamo noi a non poterne più da questa situazione di diffusa illegalità: siamo a noi a doverci chiedere dove è lo Stato!”, conclude Capece.