Viterbo annessa alla Toscana? Il prof. Mattioli risponde a Baggiani

VITERBO – Riceviamo dal prof. Francesco Mattioli e pubblichiamo: “Caro Baggiani,
il colloquio sui giornali è benedetto, perché coinvolge immediatamente più persone, i lettori, e quindi quello che lei definisce giustamente “il popolo sovrano”. Che farà le opportune deduzioni, trarrà considerazioni e conclusioni, ecc.
Frequento molto la Toscana, tutta, da sempre; e dirò che sono perfino tifoso della Fiorentina da quando avevo otto anni. Conosco quindi i toscani e ne ammiro l’operosità creativa. Sono anche grandi mercanti di sé stessi; ho più volte ripetuto che il contadino toscano che vedeva al limite del suo campo un forestiero, gli correva incontro a vendergli ortaggi; mentre il contadino viterbese gli correva addosso per allontanarlo con il forcone. I diversi destini di Viterbo rispetto a quelli di Siena, Arezzo, Lucca sono scritti così; del resto, gli etruschi, specie quelli che si spingevano a colonizzare il Tirreno e le terre a nord del Tevere e persino dell’Arno, erano grandi mercanti. E così oggi la Toscana ha una narrazione a sé, sia in Italia che in Europa. Il turista straniero, specie americano e inglese, non dice “vado in Italia”, ma “vado in Toscana””, come fosse una nazione a parte.
Lei, caro Baggiani, ricorda un mio confronto tra il Palio e la Macchina di S: Rosa. Non era amichevole. Se ben ricordo sottolineai come tre giri di campo per una gruppetto di cavalli, a favore di duemila senesi attruppati al centro della piazza, è conosciuto in tutto il mondo e se ne fa perfino la telecronaca televisiva sui canali nazionali. Mentre il trasporto di un campanile di trenta metri da parte di cento portatori per le vie medievali e abbuiate della città, in un percorso di oltre un chilometro tra una folla di almeno ventimila fedeli si fatica ancora oggi a farlo conoscere fuori della Tuscia.
Bravi loro… a costruire un mito quasi dal nulla.
Proprio per tutti questi motivi, tuttavia, timeo danaos et dona ferentes…
Roma è ingombrante per la crescita di Viterbo, ma temo che lo sia anche la Toscana, con la sua tradizione compatta e autoreferenziale. Viterbo, la Tuscia sarebbero ancora una periferia, come lo sono adesso nel Lazio, per di più culturalmente e linguisticamente differenti dal resto della Regione Toscana; e come ho detto, la lingua, il dialetto, sono fattori importanti di identità, di somiglianza e di diversità. E poi, ribadisco, quale Tuscia? Perché l’area tiberina, quella falisca e quella che guarda a sud dei Cimini sono ancor più lontane, fisicamente e socioculturalmente dalla Toscana. E una fuitina istituzionale alla spicciolata di questo o quel comune viterbese verso la Toscana mi sembrerebbe più che altro l’ennesima espressione di un campanilismo d’antan.
Io mi auguro che il Viterbese assomigli sempre più per organizzazione, spirito di iniziativa, civiltà alla Toscana. Ma restando Tuscia, nel Lazio o approfittando di un eventuale smembramento del Lazio. Personalmente, quando visito Bolsena, ordinata, pulita, accogliente, civile mi sembra di stare in un’altra regione, un regione migliore, forse in Toscana; ma quando parlo con gli orvietani mi sembra di stare ancora nella mia regione.
Sono certo che ha colto la sfumatura…”.
Francesco Mattioli

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