Viterbo provincia della Toscana? Risponde Francesco Mattioli

di FRANCESCO MATTIOLI-

Dal progettare una nuova provincia del Lazio, la ormai celeberrima “Porta d’Italia”, all’annessione della provincia di Viterbo alla Toscana: è tutto un fervore di rivoluzioni territoriali.
Ho detto “annessione alla Toscana”. Eh, già, in realtà non si tratterebbe di rifondare una regione che diverrebbe territorialmente molto differente da quella odierna, espandendosi a sud, ma semplicemente di risucchiare Viterbo in un sistema storico, territoriale e socioculturale che da circa mille anni è del tutto autonomo nel centro Italia.
Gli argomenti dei promotori sono debolucci, che siano viterbesi o Toscani (chissà perché, nel loro comunicato con la T maiuscola…).
Intanto: riunire finalmente l’Etruria? Forse quella voluta dai conquistatori Romani, con la loro Regio, di certo non quella concepita dagli Etruschi, per i quali il territorio raseno era tutto quello che era a nord a ovest del Tevere fino al Fiora e all’Amiata: Tarquinia, Cere, Veio, Tuscania, Vulci, Orvieto, al massimo Chiusi e Cortona. Poi, con l’espansione etrusca, arrivarono, Arezzo, Artimino, Populonia, Vetulonia, Volterra, Pisa… cioè la Toscana attuale, ma anche Perugia e Todi in Umbria, Marzabotto e Bologna in Emilia, Mantova in Lombardia… Insomma, “colonie”; come voler dire che il cuore della cultura inglese sarebbe in America invece che a Londra…
Ma andiamo oltre certe reminiscenze che risalgono la Storia troppo indietro nel tempo. Per secoli e fino al 1870 il confine maremmano tra Stato della Chiesa e Granducato di Toscana è stato molto più pesante di quanto si creda; l’aristocrazia latifondista romana si fermava lì, dove c’è tuttora un grosso edificio, sull’Aurelia dalle parti di Capalbio, che fungeva da dogana pontificia. Anche dopo il 1870, la Maremma appariva unitaria solo per i briganti come Tiburzi, nato a Cellere e morto a Le Forane, presso Capalbio…
Quanto all’oggi, è chiaro che nel Lazio Roma succhia e risucchia tutte le province viciniori, che ne escono drammaticamente penalizzate, politicamente, economicamente, culturalmente, amministrativamente. In Toscana, la capitale Firenze non è così tanto sproporzionata rispetto al resto del territorio, e si confronta con città socio-economicamente, storicamente, culturalmente molto forti, come Livorno e Pisa a nord, Arezzo e Siena a sud; non è forse un caso che certe proteste contro il potere regionale centrale siano spesso arrivate da Grosseto, un po’ più cenerentola e decentrata rispetto alle altre…
Peraltro una provincia di Viterbo annessa alla Toscana presenterebbe almeno attualmente grosse limitazioni infrastrutturali, stradali e ferroviarie, proprio con riguardo a Viterbo città; anche Siena non se la passa benissimo, ma almeno ha un autostrada che la collega a Firenze, non una sorta di tratturo a due corsie come la Cassia attuale a nord e a sud di Viterbo.
C’è poi da dire che se qualche nesso può esserci tra la Tuscia e la Toscana, esso semmai interessa i territori litoranei di Tarquinia e Montalto e quelli che dai Cimini vanno a superare il Lago di Bolsena e giungono alla Valle del Fiora. Ma già l’area bagnorese e quella ortana guardano più all’Umbria, quella civitonica al reatino e a Roma, come ovviamente tutta quella che ruota intorno al braccianese, da Blera a Vejano a Monterosi. Tal che i promotori dell’annessione del Viterbese alla Toscana si accontenterebbero anche di adesioni alla spicciolata: Montalto? Acquapendente? Forse Arlena, Ischia, Farnese, Cellere, magari Latera, insomma quelli del comprensorio del Lamone? Per andar dove, con Grosseto o Siena? E a far cosa, la comparsata in un territorio già ben identificato e strutturato? Ma suvvia…
Il discorso sul dialetto poi non è secondario. Sebbene ormai si viva nell’era della globalizzazione, che sembrerebbe azzerare certe differenze, la “narrazione” etnografica fondata sul linguaggio, i modelli culturali e gli episodi della storia, proprio grazie al cosiddetto processo di glocalizzazione, mantiene una valenza identitaria particolarmente rilevante. E a Viterbo, la C non si aspira… e neppure ad Acquapendente, a Montalto o a Farnese…
La “annessione” di Viterbo alla Toscana non cambierebbe molto i destini del nostro capoluogo; forse si risalirebbe dalla brace attuale alla padella, ma sempre cotti finiremmo, per andare in pasto a qualcuno… insomma, francia o spagna…
Ma Vogliamo insistere su una rivoluzione dei confini regionali (il Lazio, si sa, è una regione fittizia…)? Va bene: allora, dal punto di vista territoriale, storico, infrastrutturale, socioeconomico e culturale, funzionerebbe di più una “Regione Tuscia”, svincolata da Roma, ma non assorbita da una “toscanità” che le apparterrebbe solo in piccola parte. E allora, eccola qui la Regione: Viterbo, Grosseto, Orvieto, Civitavecchia e il suo comprensorio fino a Bracciano: circa 750mila abitanti, il cuore antico del territorio etrusco, una forte identità storico-culturale, una forte continuità territoriale (anche maremmana) e una vocazione “orizzontale” capace di aprire un varco tra Tirreno e Adriatico senza rinunciare a quella tradizionalmente verticale. Per di più, libera da ogni tendenza centripeta, come avviene invece nel Lazio con Roma e, in certa misura, in Toscana con Firenze…
Pochi abitanti per una regione? Beh, vediamo: in fin dei conti, la Basilicata ne ha 560mila, l’Umbria 880mila, la Valdaosta 130mila, il Molise 300mila…
Non mi sono ignote vecchie proposte di passare alla Toscana, di fronte all’ingombrante e ottusa preponderanza di Roma verso Viterbo; in passato ci pensò ingenuamente anche il sottoscritto. Ma un giorno il noto giornalista viterbese Alessandro Vismara, un maestro di arguta saggezza, mi chiese: “ E’ meglio essere di gran lunga la seconda città del Lazio per storia e cultura, seppur dopo Roma, o in Toscana misurarsi, oltre che con Firenze, con Pisa, Siena, Arezzo, Lucca e Pistoia e persino con Volterra, Viareggio e San Gimignano?”
No, grazie.

 

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