Vitorchiano, il borgo di origine medioevale

di DANIELA PROIETTI –

VITORCHIANO ( Viterbo) – Ci sono dei luoghi che ti entrano nel cuore, forse perché tante cose ti legano ad essi, o forse soltanto per la loro bellezza. Vitorchiano, a pochi chilometri da Viterbo, è uno di questi. Tutti coloro che lo hanno visitato, conservano un ricordo positivo, che li spinge a tornare per percepire ancora l’atmosfera di serenità che lo caratterizza.

Sono anni che frequento questo gioiello a pochi chilometri dal capoluogo della Tuscia: lo faccio per lavoro e per diletto. E’ magnifico poter unire ciò che ci è dettato dal dovere con quanto amiamo fare. Mi capita spesso di uscire presto al mattino per recarmi in questo paesino di quasi 5000 anime per godere della pace che si respira.

In una calda mattina di settembre, Vitorchiano mi ha accolta come visitatrice appassionata. Il centro storico del paese, pullulava di gente. Il vivace mormorio delle persone si mescolava al rumore prodotto dalle ruote dei trolley dei turisti che si apprestavano a occupare le stanze dei B&B e degli appartamenti collocati dentro le mura. Ma c’era qualcosa di diverso rispetto alle normali, seppur animate mattine.

Un set cinematografico, allestito nelle giornate precedenti, ravvivava ancor di più, se possibile, le strette strade dove il peperino costituisce l’intera scenografia. Ho scelto di fermarmi al di fuori della porta per fare colazione. Ero sola, e la solitudine mi ha spinta ad ammirare le secolari pietre che tante cose debbono aver visto.

Ho ascoltato, senza intenzione, i discorsi di due signore del posto che avevano scelto di incontrarsi ai tavoli del bar per iniziar bene la giornata. Parlavano delle loro camminate e dei percorsi compiuti intorno e fuori il bel luogo in cui vivono. Non hanno mancato di enumerare, nel loro elenco, uno dei posti più caratteristici del piccolo comune, la Chiesetta di San Michele, posta nella valle, ed hanno usato, per indicarla, il modo di dire tipico degli autoctoni “giù pe’ San Michele”, anzi, “Micchele”, raddoppiando la consonante.

La storia racconta un’origine molto remota: alcuni ritrovamenti ne daterebbero la fondazione all’epoca del bronzo e il nome “Vitorchiano” (Vicus Orclanus) starebbe ad indicare la dipendenza dalla città etrusca di Norchia. Dopo esser stato, come gran parte dei centri del viterbese, castrum romano, combatté a lungo con la città che oggi è capoluogo della provincia cui appartiene.

Ma il cuore del paese, il borgo, è di chiara origine medioevale.

L’abitato antico, il sopracitato borgo, al quale si accede tramite una porta, Porta Romana, poggia su di una rupe di peperino che si protende verso nord. Tutt’intorno, è verde.

La porta, rivolta verso sud, in direzione della capitale, è la principale del paese. La torre adiacente e l’intera cinta muraria, risalgono al XIII secolo, periodo in cui la cittadina volle distaccarsi dalla vicina Viterbo. Motivo questo che portò le milizie viterbesi ad assediare Vitorchiano. L’intervento della più distante, ma potente Roma, la rese libera e ne fece un proprio feudo. Questo patto di fedeltà perdura da più di otto secoli.

Per chi giunge a Vitorchiano da Grotte Santo Stefano, lo spettacolo offerto dalle case arroccate sulla pietra è impressionante. Il loro essere sospese sulla profonda valle sottostante, attraversata dal torrente Vezza, conferisce al paesaggio delle peculiarità equiparabili a pochi altri centri abitati.

Un moai, ottenuto da un blocco di peperino pesante trenta tonnellate e scolpito da undici indigeni dell’Isola di Pasqua, sita nell’Oceano Pacifico, a migliaia di chilometri dall’Italia, è uno dei rarissimi esemplari che si trovano al di fuori del territorio di cui sono originari, ammira, appunto, le case affacciate sulla valle.

Nella conca, tra la fitta vegetazione, è possibile individuare alcune statue, sempre realizzate nella pietra autoctona e la Chiesa di San Michele Arcangelo, patrono del paese, edificata nel 1358.

Poco prima, la comunità religiosa aveva deliberato di sceglierlo come protettore del paese. All’interno della piccola chiesa immersa nel verde, si trova la statua del santo, di dimensioni reali e scolpita nel peperino. All’epoca della costruzione, il santuario venne affidato alle cure di un ordine di eremiti che risiedevano nei piccoli edifici adiacenti. L’ 8 maggio, giorno in cui si celebra la ricorrenza, le confraternite si recano in processione verso la chiesa, portando elementi sacri e lanternoni adorni di fiori. L’antica usanza prevedeva che venisse offerta la “pacchia”, un pranzo completo e, come si deduce dal nome, gratuito, che il comitato dei festeggiamenti era solito offrire ai pellegrini. Oggi la tradizione è stata sostituita dalla cosiddetta “poggiata”, una sorta di merenda in cui vengono consumate  ottime ciambelle all’anice accompagnate dal buon vino distribuito dai “festaroli”.

Vitorchiano, negli anni, si è fatta conoscere anche per altre feste, non a carattere religioso, che vengono celebrate e che,purtroppo, nell’anno in corso non sono state svolte a causa delle misure di contenimento del Covid-19.

La Sagra del Cavatello, in estate, in cui si esalta uno speciale tipo di pasta locale (ottenuta con acqua e farina), Peperino in Fiore, nel primo fine settimana di giugno, dove la grigia pietra viene resa multicolore da artistiche installazioni floreali, la Notte Rosa in cui, stavolta, il paese si colora di rosa, il Natale e il Carnevale Vitorchianese. Da questo si capisce che gli abitanti hanno una forte propensione ai festeggiamenti.

E’ evidente che la conformazione del luogo costituisca un ottimo palcoscenico, come fosse un naturale teatro. La porta principale, difatti, rappresenta l’unico punto di accesso e di uscita, fatta eccezione per la Porta Tiberina, che si apre sulla strada verso Bagnoregio, transitabile soltanto a piedi e che rappresenta il punto di incontro tra l’antico borgo e la valle del Vezza. E’ un luogo suggestivo, per alcuni versi irreale, dove predomina il silenzio. Spesso mi è capitato di sedermi sul basso parapetto posto di fronte alla porta e  di scrutarne le fattezze. L’impressione che se ne ha, è di una struttura possente, nata dalle stesse fondamenta del paese. La porta, affonda le proprie radici nel XIII secolo, e servì, poco dopo per raggiungere la chiesa del patrono.

L’interno del borgo è uno scrigno ricolmo di ricchezze, che ne testimoniano la storia millenaria. Racchiuso tra le sue intatte mura castellane, che stanno a testimoniarne lo sviluppo, godeva addirittura di un ponte levatoio che permetteva l’ingresso da Porta Romana.

Sulla piazza principale, Piazza Roma, sorge il Palazzo Comunale. L’edificio è posto accanto alla Torre dell’Orologio che fu installato nel 1470 da Maestro Gaspare de Juglianello (nome antico di Vignanello), e all’antica rocca, e dove si congiungevano le strade provenienti dagli orti e dalle campagne circostanti: questo era il punto di maggior pericolo in caso di attacco. L’incarico per la costruzione venne affidato a Magister Bernardinum  nel 1488, uno dei maestri lombardi presenti nel territorio di Vitorchiano. Furono necessari circa venti anni per realizzare lo stabile che tutti conosciamo. La facciata presenta un aspetto piuttosto austero, fatta eccezione per le due grosse finestre in stile guelfo.

All’interno del Palazzo Comunale, si distingue la Sala del Consiglio affrescata da artisti di scuola viterbese e contenente un pergamo scolpito nel 1518 da Magistro Donato lombardo che presenta nel basamento tre stemmi, di cui due attribuibili rispettivamente al Comune di Vitorchiano e a quello di Roma, città di cui sono molteplici i riferimenti che riportano alla fedeltà tra i due centri.

Questa lieson è legata alla figura del giovane pastore Marzio che, nell’intento di salvare il proprio paese dall’ulteriore terribile attacco da parte della città vicina, si lanciò in una corsa verso Roma, oltrepassando la fitta e temibile Selva Cimina e, una volta giunto alla meta, subito dopo aver chiesto aiuto, morì per la gran fatica. Anche se, secondo alcune versioni, sarebbe deceduto per l’infezione provocata da una spina conficcata nel piede, durante la sua disperata corsa.

Passeggiando per le vie, strette tra le costruzioni di peperino, ci si imbatte in scorci pittoreschi e aperture che offrono panorami mozzafiato. Diverse ed interessanti sono le chiese, di Sant’ Amanzio, di Sant’Antonio, di Santa Mariail Monastero di Sant’Agnese, tutti contenuti all’interno della prima cinta muraria, nonché quelle che si trovano all’esterno di essa, soprattutto quel piccolo gioiello dell’ex Chiesa di San Pietro, oramai chiusa e in decadenza, ma con una lunghissima storia e delle particolarità, purtroppo poco valorizzate, come gli stipiti che si pensa siano originari della distrutta città di Ferento.

La fontana a fuso con scolpiti i simboli dei quattro evangelisti, l’alta e panoramica Torre attigua al palazzo in cui ha sede il Comune, la Casa del Vescovo e quella del Rabbino, il vecchio Monte di Pietà, divenuto poi archivio storico in cui sono depositati manoscritti antichissimi,  l’antico lavatoio, la Porta della Vergogna, in cui erano costretti a passare coloro che si erano macchiati dei delitti più gravi e la Porta della Neve (unico accesso all’originario castrum), la casa in cui visse per breve tempo Santa Rosa e  le mura castellane con i bastioni: a Vitorchiano, di perle da scoprire ce ne sono davvero tante, nonostante sia considerato e conosciuto come un paesino dalle dimensioni piuttosto ridotte.

Tra le cose che saltano all’occhio, nonostante dovrebbero essere normali e scontate, la pulizia e l’attenzione al decoro. Tra l’altro, il paese, si distingue per i vari progetti attuati relativamente alla raccolta differenziata e l’attenzione posta ad un sempre minor consumo delle sostanze plastiche. Comune virtuoso, non c’è che dire. Comune ben collegato e tranquillo, moderno e fedele alla tradizione.

Comune apprezzato dai turisti e sempre in crescita: tanti vi si sono trasferiti e i nativi vi restano.

“Si opri la finestra ngià sei sazio”, questo si sentiva ripetere dal padre lo scrittore e poeta Gilberto Pettirossi, vitorchianese innamorato, come è giusto che sia, della terra in cui è nato e vissuto. E noi non possiamo che convenire.

Print Friendly, PDF & Email
Condividi con:
LEGGI TUTTE LE NOTIZIE