Pensierini contro l’afa ferragostana

Il discorso filosofico sulla differenza tra forma e sostanza non mi ha mai entusiasmato. Sofismi che lascio volentieri a chi concepisce la cultura come rovello mentale. In realtà esiste solo un insieme di cose che hanno sostanza e forma, e solo così assumono il loro significato presso gli esseri umani. Nel nostro mondo mediatico, peraltro, la forma è fondamentale perché determina il profilo della realtà che definiamo secondo un processo di negoziazione comune.

Detto in soldoni: quel che appare, generalmente è ciò che è, o almeno ciò che vale. E’ un discorso cinico, ma soprattutto oggi la pubblicità, lo spettacolo, l’esposizione di un pensiero, una strategia politica o una provocazione culturale, persino un articolo di cronaca, valgono per ciò che dicono ed esprimono non per ciò che eventualmente “c’è dietro”. Pensate alla moda: persino l’artista più anticonformista studia a lungo come vestirsi, per apparire meglio identificabile come tale.

Finiamola qui. Il discorso infatti è un altro.

Il pubblico amministratore non si illuda di passare alla storia o di essere benvoluto perché ha fatto grandi opere pubbliche. Perché queste non tutti le apprezzano, non tutti ne usufruiscono, soprattutto non tutti le capiscono. Un’opera urbanistica, un grande evento culturale, persino una politica di assistenza ben mirata troveranno in bastian contrario, il critico, colui che storcerà il naso per ignoranza, per incompetenza, per oltranzismo, per gelosia, per scontro politico e ideologico, ecc.

Ma ci sono alcune piccole, apparentemente piccole, cose che invece coinvolgono tutti i cittadini, che se vengono eseguite portano lustro e adesione al pubblico amministratore. Sono quelle che colpiscono il cittadino nella sua pancia, nel suo quotidiano, in quello più banale, comprensibile a tutti, esperibile a chiunque, giovane o vecchio, uomo o donna, laureato o meno, informato o meno.

Ad esempio: taglio e asportazione delle erbacce; spazi pubblici (marciapiedi, vie, piazze, giardini) agibili; sorveglianza e sicurezza sotto le più varie forme, da quelle che scoraggiano la devianza alle strisce pedonali ben visibili, all’eliminazione delle barriere architettoniche; igiene e servizi efficienti. A parte che queste pratiche sono segno di civiltà, di rispetto per il cittadino e per il forestiero, è da qui che si parte per fare tutto il resto. Senza di esse non c’è un misuratore condiviso di ciò che va fatto. Poi arriveranno i grandi progetti urbanistici, le intuizioni culturali, le strategie dello sviluppo economico e turistico. Che cosa fai, caro lettore, se ospiti qualcuno nella tua casa? Prepari subito la cena, o prima dai la dovuta lustrata, fai ordine per mettere a suo agio e ricevere con il maggior calore e rispetto possibile il tuo ospite?

Ecco, anche qui sostanza e forma coincidono.

Gli amministratori viterbesi di ieri e di oggi hanno difficoltà a rendersene conto, pare.

Un assessore alla bellezza? Dovrebbe occuparsi di vie e marciapiedi puliti e agibili, di giardini verdi e accoglienti, di bagni pubblici e di cestini di rifiuti, di facciate delle case libere da fili e filacci, di segnaletica comprensibile, di lotta al vandalismo. Che senso ha comunicare la bellezza di S. Pellegrino in Fiore, l’arte di Sebastiano del Piombo, il significato profondo del culto di Rosa, se tutto ciò si nasconde tra la sporcizia, l’inefficienza, il pressappochismo del quotidiano? Che senso ha offrire un piatto gourmet al nostro ospite, invitandolo a sedersi su uno sgabello sgangherato e unto, e ad una tavola impolverata e con le posate sporche?

Buon lavoro. Buon Ferragosto.

Francesco Mattioli

 

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